Abbiamo chiesto a Giuseppe Zois di ricordare la figura e l’opera di don Sandro Vitalini, che fu a lungo editorialista del “Giornale del Popolo” dai tempi di don Alfredo Leber alla sua direzione. Dalla collaborazione tra i due sono nati molti libri su esperienze di Chiesa, questioni del credere e su vicende e protagonisti del Ticino.
Se si diceva “teologo” nel Ticino – che lo si intenda come Cantone o Diocesi di San Lorenzo – il pensiero correva in automatico a Sandro Vitalini, un uomo e prete che in tutto il suo ministero si è prodigato per avvicinare il popolo a Dio. Comunicatore multidimensionale, lo ha fatto tracciando strade dritte in un mondo, anche il suo, spesso storto, più portato a complicare che a semplificare. Già si viveva in una modernità paradossalmente popolata di “forse” e di condizionali: la pandemia scatenata dal misterioso e letale virus con gli occhi a mandorla ha scaraventato le nostre vite sulle “basculanti palafitte” delle incertezze, come qualcuno le ha definite. E chissà per quanto ancora toccherà fare i conti con lo stramaledetto “Covid-19”, nome che s’è impadronito con prepotenza dei nostri giorni. Ed è stato proprio il “coronavirus” a portarcelo via. Sandro Vitalini, 85 anni compiuti il 27 febbraio, prete dal 1959, ha dedicato più di un quarto di secolo (1968-1994) a insegnare Teologia dogmatica all’Università di Friburgo, dove ha guidato anche il cammino di numerosi giovani diventati preti; per tutta la sua vita sacerdotale si è speso a indicare la via maestra delle Beatitudini evangeliche. Ieri “l’invasore invisibile” di questi mesi, il letale “coronavirus” se l’è portato via dopo pochi giorni di ricovero alla Clinica luganese di Moncucco.
Don Sandro è stato un instancabile divulgatore chiaro e convincente: sapeva parlare ai giovani e che scaldava il cuore di tutti, anche dei più freddi. Detestava imporre, preferiva accompagnare dialogando. Mancherà a molti, anche al di fuori della Chiesa.
Pronto a confrontarsi su ogni argomento
Aveva alcuni traffici che deprecava nelle sue omelie, contro i quali si scagliava indignandosi, alla maniera di Martin Luther King: ad esempio contro le armi, che sono il primo strumento di guerra, contro certi traffici di finanza che opprime l’uomo invece di promuoverne il miglioramento oppure soldi che grondano sangue, come quelli dei narcotraffici. Quelli erano gli unici momenti in cui don Sandro si infiammava, a volte diventando anche rosso in volto per l’impeto della sua denuncia, per la quale si richiamava ai modi con i quali si espresse Gesù stesso contro i mercanti nel Tempio. E con San Paolo ripeteva: «Gli accaparratori non erediteranno il Regno di Dio». Per il resto, le sue riflessioni, che non mi piace chiamar prediche, erano una proposta franca e diretta all’assemblea che aveva davanti. Parlava sempre a ruota libera, senza avere neppure un foglietto con una traccia minima dei punti da sviluppare. Possedeva una capacità e una ricchezza di conversazione che non è un dono diffuso. Di più: arricchiva il percorso del suo discorrere con rimandi puntuali a uomini di Chiesa o a intellettuali di ogni area, aperto a tutti, agli agnostici, agli atei, al popolo (sempre più esteso) degli indifferenti. Quando partecipava a un dibattito, amava lo scambio di vedute, il confronto di idee, anche il contraddittorio. Non si negava su nessuna questione, neppure quelle più scottanti, dove non faceva sconti a nessuno, gerarchia ecclesiastica compresa. Interpretava il Vangelo per l’uomo, come dev’essere: Cristo – ripeteva sempre come filo conduttore – è venuto per liberare l’uomo, per portargli il “Buon Annuncio”, non per complicargli la vita.
C’era sempre, per tutti: multidimensionale
Chi non lo conosceva, può essere tentato dal sospetto dell’esagerazione, come spesso si fa quando uno ci lascia. No, Vitalini sorprendeva per la sua duttilità e per la sua preparazione teologica, certo, ma inseparabilmente umana, sui più svariati e anche complessi argomenti. Lo chiamavano in radio o alla televisione, e lui c’era: anche per commentare fatti di ogni genere della quotidianità. Arrivava in redazione la notizia di qualche documento del Papa o di fatti legati al papato – come fu il caso delle dimissioni di Benedetto XVI – mentre altri si interrogavano se era il caso o meno di aderire, lui aveva già risposto. Aveva tempi più che giornalistici e stava ai tempi, se in radio-tv, o alle misure per i giornali, che fossero 15 righe o 30 o 60 e questo molto prima dell’avvento dell’informatica e delle indicazioni in termini di “caratteri”. Va aggiunto che Vitalini è rimasto fedele alla scrittura a mano – era velocissimo – o alla sua inseparabile Olivetti. Non volle piegarsi al computer.
I molti titoli di una ricca collana di pubblicazioni
Per i mass media – tutti – era un approdo sicuro: raggiungibile in ogni sacrosanto giorno che Dio manda sulla terra ed era anche uno dei pochi che si serviva della segreteria telefonica. Fosse stato impegnato in una lezione all’Università oppure in un’azione liturgica, don Sandro avrebbe richiamato. La disponibilità era una delle sue molte qualità.
Dormiva poco e lavorava molto, leggeva e studiava per tenersi aggiornato, si recava ovunque senza preclusione, teneva esercizi spirituali in conventi e monasteri di ogni parte della Svizzera, favorito dalle sue conoscenze linguistiche, di frequente anche in Italia. E quando era lontano dalla sua casa a Sorengo o dalla Curia (il Vescovo Grampa l’aveva voluto come provicario generale), don Vitalini capitalizzava il suo tempo libero preparando interventi per conferenze o libri. Sono nati così libri come: Dio soffre con noi, La fede della vita, la vita della fede (Cittadella editrice), Credo la vita eterna (Gribaudi), Voglio dirti qualcosa di Dio (EDB). Lo so perché sono nati da lunga complicità: Ma com’è Dio? (Fontana), Maria madre e sorella, Chiedete e vi sarà dato, Bussate e vi sarà aperto (tutti con la Ritter). Non si contano i suoi scritti in svariate pubblicazioni, molte in Italia e anche di prestigio.
Dalla cattedra universitaria alla responsabilità in Curia
Da quando aveva lasciato l’Università di Friborgo, dov’era stato docente di Teologia dogmatica (dal 1968 al 1994, e per due volte decano) e dopo aver presieduto la Commissione teologica dei vescovi svizzeri, don Vitalini aveva accentuato la sua presenza in diocesi e non solo da quando fu scelto (2004) come provicario episcopale. Già dieci anni prima, s’era messo a correre dovunque nelle parrocchie: da Comano, dove ebbe un lungo e fertile sodalizio pastorale con don Mario Pontarolo, al Cristo Risorto a Lugano, con don Pietro Borelli parroco e presso i numerosi preti e parroci che don Sandro aveva seguito, preparato e formato a Friborgo, come responsabile della Comunità teologica, dopo che lo storico Seminario San Carlo aveva chiuso per mancanza di vocazioni.
Per i suoi preti don Sandro aveva continuato a far da guida e da sostegno, specialmente in occasione di solennità (feste patronali, Prime Comunioni, ecc.). Don Sandro oltre ad aiutare i parroci, in particolare nel Mendrisiotto, era il “prete della festa”, perché portava in dono la sua solarità, la sua positività, l’ottimismo di cui ha un acuto bisogno questo nostro tempo sfiduciato e in cerca di motivi di speranza. Fu tra gli animatori della “San Filippo Neri” che conobbe con lui un bell’impulso: molti sacerdoti ricordano le vacanze estive con lui in Spagna. Nella molteplicità dei suoi ruoli, fu anche presidente a lungo dell’Opera diocesana pellegrinaggi e per anni fu animatore degli ottocento ticinesi che in agosto si mettevano sul treno per Lourdes. Uno dei suoi meriti era quello di valorizzare al meglio i carismi di ciascuno. Il rovello costante del suo essere prete era l’incoraggiamento per ciascuno a lavorare per ottenere la miglior versione di sé stessi. E si proponeva in prima persona con immancabile rispetto per ognuno, ma anche con la carica, con l’esuberanza e con il sorriso della sua missione vissuta con gioia. Praticava lo sport e fino a non molti anni fa si arrampicava in bicicletta su impegnative salite nel Ticino. Forse giocava anche a tennis, di sicuro era un tifoso interista (aveva sempre con sé, nell’inseparabile borsa da viaggio qualche distintivo da distribuire). Insomma: una persona versatile.
Sapeva comprendere le fatiche dei giorni
Quel che colpiva della sua persona era soprattutto la sensibilità: don Sandro si interessava dei problemi di chiunque gli si rivolgeva per un consiglio o un aiuto; non solo, ma andava oltre, cogliendo le fatiche del vivere di amici e conoscenti e adoperandosi in prima persona per alleggerirle. C’era una frase che richiamava spesso nel suo dire: «Dio mendica il nostro aiuto perché insieme incarniamo e diffondiamo la sua bontà nel mondo». Questo è stato il filo conduttore della sua parola parlata e scritta e del suo molto insistere – anche nei titoli – sulla paternità di Dio per l’uomo. Convinto che i deboli già si trovano a dover vivere diverse infelicità, non si stancava di esortare alla solidarietà, vista anche come una questione di giustizia e non solo di carità. Vedeva e poneva l’uomo non come mezzo ma come fine.
Giuseppe Zois