«Vagamente stravagante, dal fare signorilissimo e dalla cortesia estrema» – così Giorgio Lucini, noto tipografo milanese, descriveva Dino Buzzati, un uomo che, sempre secondo lo stesso, si distingueva per «lo stile raffinato, l’eleganza prossima allo snobismo e l’ironia composta». È stata Silvia Teresa Zangrandi a strappare queste parole al compianto stampatore italiano, in un’intervista edita nel 2011 per gli «Studi buzzatiani». Professoressa di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università IULM di Milano, e membro dell’Associazione internazionale Dino Buzzati di Feltre, nella serata di ieri ha tenuto all’USI un’appassionata conferenza sul poeta bellunese.
In apertura dell’incontro, che si inserisce nel ciclo Archivi del Novecento (organizzato dall’Istituto di Studi Italiani dell’USI, in collaborazione con RSI Rete Due), Zangrandi tiene subito a sottolineare che Buzzati è difficilmente circoscrivibile in una categoria definita; fu infatti scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta. In particolare, l’attività giornalistica presso il Corriere della Sera influenza significativamente la scrittura di Buzzati e la sua accoglienza da parte del pubblico. Definito «mago della composizione breve» in occasione del Premio Strega, che si aggiudicò nel 1958 con i suoi Sessanta racconti, Buzzati è sempre stato considerato un outsider della letteratura. Da una parte, perché nel Novecento imperava il principio crociano secondo il quale il dualismo giornalista-scrittore andava guardato con sospetto, e, dall’altra, per la timidezza che lo contraddistingueva.
Questo tratto si manifesta, in particolare, al primo incontro con Albert Camus, durante il quale l’emozione lo induce al balbettio, ed emerge chiaramente nell’intervista che il poeta Vittorio Sereni gli fece nel 1968 per il programma Lavori in corso. Rigido ed imbarazzato, Buzzati è laconico nelle risposte fornite al prorompente Sereni, e riesce a vincere la timidezza solo nel momento in cui incomincia a parlare dei suoi progetti e dell’ispirazione poetica che, in quanto scrittore, deve costantemente inseguire. Sereni, durante il colloquio, si sofferma sulla raccolta di racconti brevi intitolata In quel preciso momento (pubblicata nel 1950, seguono due edizioni accresciute nel 1955 e nel 1974), ove – come sottolinea Zangrandi – Buzzati declina il tema del tempo che passa, dell’attesa e dell’inquietudine dell’uomo contemporaneo. Questa raccolta, a differenza delle altre del poeta bellunese, considerato uno dei maggiori rappresentanti della letteratura fantastica novecentesca, presenta pochissimi elementi immaginifici.
Quanto a creatività, Buzzati ne aveva in abbondanza, e la esprimeva, oltre che in letteratura, nell’arte. Nel quadro Il Duomo di Milano (1958), che rapisce l’attenzione del cameraman dell’intervistatore, trasfigura la cattedrale in una cima dolomitica, e la piazza in un’immensa prateria. In questo dipinto emerge inoltre l’amore di Buzzati per le montagne, tema di fondo di numerosi suoi racconti e meta dei suoi viaggi; difatti, nei periodi di vacanza, si recava regolarmente alle Dolomiti.
Sereni, nel procedere dell’intervista, riesce a portare in luce ulteriori sfaccettature della produzione di Buzzati. In Un amore (1963) lo scrittore analizza i conflitti dell’uomo maturo irresistibilmente attratto dalla giovinezza, mediante una narrazione senza filtri; come fa notare lo stesso Buzzati, in questo romanzo tratta delle emozioni nella loro crudezza e sincerità.
Il colloquio si chiude affrontando un altro tema che stava molto a cuore a Buzzati, ossia il poema a fumetti, che all’epoca si trattava di un progetto, ma vedrà la luce nel 1969. Rifiutato proprio da Sereni, editor di Mondadori, sarà invece il capo della casa editrice, Arnoldo, ad accettare la pubblicazione, facendosi così promotore di un’opera originalissima. Poema a fumetti, rielaborazione moderna del mito di Orfeo ed Euridice, è tutt’oggi considerata una delle prime graphic novel mai pubblicate. Da dove trasse l’ispirazione, è lo stesso Buzzati a confidarlo a Corrado Stajano, per un articolo apparso su Il Tempo nel 1969: «credo che si vada verso una civiltà dell’informazione sempre più visiva». Dino Buzzati, abile scrittore, instancabile giornalista e vivace pittore, si rivela così infine anche un acuto osservatore.
Lucrezia Greppi