Giuliano Amato cura una nuova edizione di dieci discorsi di Camillo Benso, conte di Cavour, elevandolo a massimo esponente della “grande politica”. In C’era una volta Cavour (il Mulino 2023) si narra di come lo statista piemontese si sia avventurato in tante questioni politiche del suo tempo, ma pur sempre seguendo il fil rouge del suo progetto unitario dal Piemonte alla Sicilia. Il Nostro ebbe importanti lampi di intelligenza. Ma soprattutto una visione del futuro – elemento essenziale per uno statista. Polemista e negoziatore, abile oratore che perseguì il disegno di modernizzazione dello Stato e delle sue strutture. Cavour era un liberale classico, con elementi di conservatorismo. Nei discorsi raccolti nel libro si esprimeva a favore del libero mercato che consente la crescita delle imprese e lo sviluppo dei commerci. Curiosamente, il Nostro non vedeva antitesi tra liberalismo e nazionalismo.
Nella prefazione, Amato ricorda come la grande partita di Cavour fu sul fronte internazionale. Le grandi potenze del tempo erano abituate a vedere un’Italia frammentata. Eppure, facevano di tutto per attrarla sotto le rispettive aree di influenza. Londra era a favore delle rivendicazioni italiane; con la Francia c’erano invece attriti in merito alla Savoia; mentre l’Austria occupava ancora il Nord-Est. Alla fine, Cavour vinse la sua battaglia: seppe usare i movimenti mazziniani e garibaldini per corroborare i suoi intenti politici. La politica a quel livello è rara, sostiene Amato, che fa anche paragoni con alti due statisti che gli succedettero alla Presidenza del Consiglio dell’Italia unita, Giovanni Giolitti e Alcide De Gasperi. Tuttavia, fu solo lo statista trentino ad equiparare Cavour nell’ambito della grande politica. I discorsi – interrotti dall’introduzione di Amato – riguardano soprattutto politiche economiche di stampo liberale, finalizzate a promuovere le imprese attraverso la concorrenza anziché mediante protezioni pubbliche.
Tuttavia, si estende anche a politiche liberiste nei rapporti civili, puntando a realizzare il destino nazionale non solo attraverso l’obiettivo primario dell’Unità d’Italia, ma anche nella gestione dei rapporti con lo Stato Pontificio. I discorsi riguardano l’abolizione del foro ecclesiastico (7 marzo 1850), la riduzione dei dazi doganali (15 aprile 1851), la libertà di concorrenza. Disse Cavour: «I protezionisti – siano pure conservatori – favoriscono i principi socialisti, perché ammettono comunque che il Governo sostituisca la sua volontà a quella dei privati» (ibid.). In questo ed altri campi, destra e sinistra si toccano, disse. Si parla anche di libertà e disciplina della stampa (5 febbraio 1852). In linea con i principi liberali, Cavour credeva nel legame tra libertà e responsabilità, anche nel settore dei media. Lontano dal populismo, Cavour aveva il polso del paese ed era capace di intuire i malcontenti delle masse.
Poi un discorso sul matrimonio civile (16 dicembre 1852), al quale lo Stato Pontificio si opponeva. Dunque, la Guerra di Crimea (6 febbraio 1855) quando Cavour intuì che il suo Piemonte doveva partecipare a livello simbolico per potersi poi sedere al tavolo dei vincitori e concretizzare il suo programma d’Unità. Sul Trattato di Parigi, dopo la guerra (6 maggio 1856) ammette la sua strategia alla Camera: «Lo scopo principale dell’operazione, in fondo, era proprio questo, con la speranza di poter porre in quella sede il problema italiano. Da tale punto di vista, il risultato è di sicuro inferiore alle aspettative migliori». La questione dell’annessione alla Francia della Savoia e di Nizza fu un’altra questione spinosa per il conte. Poco dopo (2 ottobre 1860) torna all’attacco sulle «Province dell’Italia centrale e meridionale», dunque sulla questione di Roma, dopo l’Unità (25 marzo 1861).
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Discorsi per la “grande politica” in libertà di Cavour
Giuliano Amato cura una nuova edizione di dieci discorsi di Camillo Benso, conte di Cavour, elevandolo a massimo esponente della “grande politica”. In C’era una volta Cavour (il Mulino 2023) si narra di come lo statista piemontese si sia avventurato in tante questioni politiche del suo tempo, ma pur sempre seguendo il fil rouge del suo progetto unitario dal Piemonte alla Sicilia. Il Nostro ebbe importanti lampi di intelligenza. Ma soprattutto una visione del futuro – elemento essenziale per uno statista. Polemista e negoziatore, abile oratore che perseguì il disegno di modernizzazione dello Stato e delle sue strutture. Cavour era un liberale classico, con elementi di conservatorismo. Nei discorsi raccolti nel libro si esprimeva a favore del libero mercato che consente la crescita delle imprese e lo sviluppo dei commerci. Curiosamente, il Nostro non vedeva antitesi tra liberalismo e nazionalismo.
Nella prefazione, Amato ricorda come la grande partita di Cavour fu sul fronte internazionale. Le grandi potenze del tempo erano abituate a vedere un’Italia frammentata. Eppure, facevano di tutto per attrarla sotto le rispettive aree di influenza. Londra era a favore delle rivendicazioni italiane; con la Francia c’erano invece attriti in merito alla Savoia; mentre l’Austria occupava ancora il Nord-Est. Alla fine, Cavour vinse la sua battaglia: seppe usare i movimenti mazziniani e garibaldini per corroborare i suoi intenti politici. La politica a quel livello è rara, sostiene Amato, che fa anche paragoni con alti due statisti che gli succedettero alla Presidenza del Consiglio dell’Italia unita, Giovanni Giolitti e Alcide De Gasperi. Tuttavia, fu solo lo statista trentino ad equiparare Cavour nell’ambito della grande politica. I discorsi – interrotti dall’introduzione di Amato – riguardano soprattutto politiche economiche di stampo liberale, finalizzate a promuovere le imprese attraverso la concorrenza anziché mediante protezioni pubbliche.
Tuttavia, si estende anche a politiche liberiste nei rapporti civili, puntando a realizzare il destino nazionale non solo attraverso l’obiettivo primario dell’Unità d’Italia, ma anche nella gestione dei rapporti con lo Stato Pontificio. I discorsi riguardano l’abolizione del foro ecclesiastico (7 marzo 1850), la riduzione dei dazi doganali (15 aprile 1851), la libertà di concorrenza. Disse Cavour: «I protezionisti – siano pure conservatori – favoriscono i principi socialisti, perché ammettono comunque che il Governo sostituisca la sua volontà a quella dei privati» (ibid.). In questo ed altri campi, destra e sinistra si toccano, disse. Si parla anche di libertà e disciplina della stampa (5 febbraio 1852). In linea con i principi liberali, Cavour credeva nel legame tra libertà e responsabilità, anche nel settore dei media. Lontano dal populismo, Cavour aveva il polso del paese ed era capace di intuire i malcontenti delle masse.
Poi un discorso sul matrimonio civile (16 dicembre 1852), al quale lo Stato Pontificio si opponeva. Dunque, la Guerra di Crimea (6 febbraio 1855) quando Cavour intuì che il suo Piemonte doveva partecipare a livello simbolico per potersi poi sedere al tavolo dei vincitori e concretizzare il suo programma d’Unità. Sul Trattato di Parigi, dopo la guerra (6 maggio 1856) ammette la sua strategia alla Camera: «Lo scopo principale dell’operazione, in fondo, era proprio questo, con la speranza di poter porre in quella sede il problema italiano. Da tale punto di vista, il risultato è di sicuro inferiore alle aspettative migliori». La questione dell’annessione alla Francia della Savoia e di Nizza fu un’altra questione spinosa per il conte. Poco dopo (2 ottobre 1860) torna all’attacco sulle «Province dell’Italia centrale e meridionale», dunque sulla questione di Roma, dopo l’Unità (25 marzo 1861).
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com