Teatro

FIT – Domenica con Cappuccetto e Heidi: il male e la ricerca della felicità

Cosa succede se a un certo punto Cappuccetto Rosso e un lupo che si muove sul palco come un consumato showman si incontrano e cominciano a ballare accompagnati da Dance me to the end of love di Leonard Cohen in un bosco animato da pecorelle danzanti, cacciatori incerti e divertentissimi e una nonna di improbabile bruttezza?Tra una risata e l’altra, al di là delle movenze esatte e cartoonesche dei danzatori, il Cappuccetto Rosso della compagnia La Luna nel Letto/Tra il dire e il fare, ci fa entrare un po’ nella vita quotidiana del lupo. La sua tana, in cui si ritira per andare a dormire con la luna accanto a un grande grammofono e a una comoda poltrona sembra davvero il rifugio di un uomo di mondo, raffinato e solitario. Questa versione umana e affascinante del lupo non riesce però a contenere la bestialità dell’animale, che infatti si manifesta attraverso una mimica incisiva e simpaticissima. I tanti bambini presenti nella platea del Foce hanno amato moltissimo questo lavoro, che ha divertito tanto anche gli adulti. Solo una piccola nota di incertezza aleggia sopra questo spettacolo, che sembra muoversi con poco equilibrio tra il chiaro e lo scuro della fiaba. Certo, con occhi adulti è facile riconoscere che Cappuccetto Rosso è in fondo una metafora della perdita dell’innocenza, della paura delle cose che non si conoscono, e di quel lupo che se ne sta sempre in agguato e in attesa di coglierci in fallo. Infatti, tutti questi aspetti sono esplorati da questo spettacolo in modo molto maturo che traspare in tutta la sua ambiguità attraverso piccoli gesti drammatici: nonostante il ballo e il tentativo di seduzione gentile, il lupo prende Cappuccetto Rosso per i capelli e la trascina nella casa della nonna, lasciando cadere qualsiasi dubbio sulle sue intenzioni. Un gesto forte, cacofonico, quasi portatore di turbamento, sicuramente dettato da una lettura adulta del testo. L’allegria della recitazione della danza della musica e sono riusciti a mantenere dritta la rotta per i bambini, ma che ha confuso le acque sbilanciando l’equilibrio tra una lettura adulta e una lettura infantile.

Sempre ieri pomeriggio, il FIT ha proposto un’altra lettura di una fiaba molto nota al pubblico svizzero. Seguendo i passi della piccola Heidi di Johanna Spyri, la compagnia francese Curious Industries ha presentato un video-racconto autobiografico in cui Alessandra Celesia, accompagnata dalla bella musica di Adélys esplora e si interroga sulle proprie radici e sulla propria casa interiore. Il caso ha voluto che il racconto delle due donne fosse interrotto sul nascere a causa di un problema tecnico con il proiettore. Quello che poteva essere vissuto come un fastidioso contrattempo, ha invece dato l’opportunità di rompere la tensione, e di riempire la distanza tra pubblico e performers con battute, racconti smozzicati e canzoni improvvisate. Un regalo inaspettato e delizioso.

Una volta ristabilito l’ordine in sala, Alessandra Celesia ha cominciato a raccontare la storia di Heidi, ed insieme la sua. Entrambe nate sulle montagne, entrambe trasferite in città, entrambe legate alla terra, ai pini, alla neve. E proprio la neve in tante sue forme è protagonista di questa storia di una ricerca di origini ma anche di soluzioni, di una pacificazione interiore che sembra avvenire attraverso l’osservazione del nostro rapporto con la natura e con gli spazi che ci circondano. Quando, e come, siamo veramente a casa? È mai possibile essere a casa? La cartografia dell’anima elaborata da Alessandra Celesia crea un parallelismo tra l’esperienza di Heidi confinata all’interno di una gelida Francoforte e la stessa protagonista confinata nello spazio urbano di Parigi. Un viaggio all’interno della condizione più difficile che una persona possa vivere, quella dell’immobilità, della paralisi interiore che lentamente, come un ghiacciaio a primavera, con molti sforzi e grazie alla collaborazione di tante forze naturali comincia a sciogliersi a muoversi di nuovo. Questa energia, ci suggerisce l’autrice può essere trovata scegliendosi luoghi e compagni di viaggio giusti, e rimanendo pronti alla scoperta.

Si tratta di un lavoro toccante, molto privato, a volte quasi invadente nella sua intimità, ma che serve molto bene come esempio di un tipo di teatro basato sulla narrazione video come forma di comunicazione autobiografica nuova, che attraverso le immagini e la musica riesce a colmare i silenzi dettati dalla limitazione del linguaggio.

Silvia Villa

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