A 62 anni se n’è volata sulle piste azzurre del cielo, l’indimenticata e indimenticabile campionessa di sci Doris De Agostini. Dopo essere stata una stella di straordinaria luminosità nel firmamento ticinese, la discesista ora splenderà nella volta celeste. Il mondo dello sport ha un groppo in gola, avvolto da malinconia, tristezza e tanta nostalgia di una ragazza che si divertiva a correre, possedeva una naturalezza contagiosa e un sorriso impagabile.
Nel giornalismo ticinese di 50 anni fa, quando non si sapeva cosa fossero Internet e men che meno tutto il caravanserraglio di Facebook e collaterali, i risultati e le imprese delle gare sportive fuori-Svizzera, si raccontavano con le notizie che arrivavano d’agenzia, per telescrivente. Non c’erano i telefonini, figuriamoci. I cronisti sportivi dovevano industriarsi in tutti i modi per poter stabilire a fine corsa un contatto, raccogliere dalla viva voce dei campioni le loro impressioni, sentimenti ed emozioni. Poi, appena fosse stato possibile, si puntava ad avere in redazione “la” o “il” protagonista nelle varie discipline.
Al Giornale del Popolo il timone dello sport era nelle sicure mani di Aristide Cavaliere, che ha dovuto e potuto inventare le modalità del suo “regno”. I giornalisti erano poche unità e chi cominciava da “bocia” per tentare la strada del giornalismo doveva essere duttile, pronto a scriver di tutto, dalla piccola cronaca alle interviste. Ogni giorno poteva riservare una sorpresa, un fuoriprogramma. Il bello di un mestiere che dispensava avventure segnanti.
Dunque: un passaggio obbligato dell’esordiente era la redazione sportiva, fatta da due uffici: quotidiano allenamento a tradurre notizie dal francese e, all’occasione, campioni da far parlare. Un giorno era Clay Regazzoni, un altro Mario Prosperi, un altro ancora Cipriano o Florio Celio oppure Alfio Molina…
E un bel giorno, reduce dal bronzo mondiale di Garmisch nel 1978, ecco annunciato da un raggiante “Chevalier”, come chiamavamo il capo, l’arrivo nel tardo pomeriggio di Doris De Agostini, subito diventata mito e leggenda. Con la sua impresa e con tutte le successive, aveva conquistato e unito tutto il Ticino. La sua foto con la medaglia di bronzo in primo piano spopolava.
Doris parlava con gli occhi prima ancora che con la voce. Era comunque misurata, mai sopra le righe o eccessiva, preferiva indietro un passo piuttosto che farne uno di troppo. Era anche per questo che aveva vinto l’oro della simpatia e della familiarità. Il suo prestigioso Olimpo personale annovera: due partecipazioni alle Olimpiadi, la prima a Innsbruck nel 1976 – dove s’era già distinta – e l’altra quattro anni dopo, nel 1980 a Lake Placid. Poi mettiamoci otto prestigiose ed esaltanti vittorie in Coppa del mondo, tra le quali il primato nella generale discesa nel 1983, quando precedette la diva Maria Walliser.
Torniamo a quella prima volta di una lunga narrazione al GdP, nel 1978. Fu una bella conversazione con Doris, che non fece degli slalom di parole, ma si espresse con la sua spontaneità, compiendo una panoramica sul circo bianco e presentando anche se stessa, le sue soddisfazioni, gioie, attese, speranze. Una compostezza esemplare. Ricordo che verso la fine dell’incontro, quando entrambi avevamo rotto il ghiaccio della “prima volta” che ci si trovava a tu per tu, le chiesi qual era il suo sogno più alto. Mi rispose senza esitazione: “Possibilmente vincere”. Come aveva già sperimentato e come avrebbe continuato poi a fare, proiettando il suo nome sui gradini più alti del podio.
È stata capace di lasciare lo sci da vincitrice, alzando un bouquet di fiori e facendosi rimpiangere: anche questo rivela lo stile di cui sono fatti i campioni, che alla vita sanno chiedere altri traguardi. Impietoso con lei è stato il destino, che l’ha strappata ai suoi cari, al suo paese delle radici – Airolo – al Cantone, alla Svizzera, al mondo dello sport e non solo. Doris, che è già nella storia, ora resterà nella memoria, fra i ricordi più belli con quel sorriso che era la sua identità.
Giuseppe Zois