È morta Maryse Condé, «gigante della letteratura»
È morta il 2 aprile all’età di 90 anni la scrittrice francofona originaria della Guadalupa, Maryse Condé, autrice di una trentina di opere sull’Africa, sulla schiavitù, sulle molteplici identità del mondo nero, caraibico ed africano. In italiano negli ultimi anni erano stati pubblicati diversi suoi libri, tra cui l’autobiografia La vita senza fard, e i romanzi Io, Tituba strega nera di Salem, che racconta la storia di una schiava ai tempi dei processi contro le “streghe” di Salem, La vita perfida, la storia di una famiglia di ex schiavi neri nel Novecento, e La traversata della mangrovia, che invece racconta una comunità della Guadalupa riunita per un funerale.
«Gigante della letteratura, Maryse Condé ha saputo ritrarre i dolori e le speranze, dalla Guadalupa all’Africa, dai Caraibi alla Provenza. In una lingua di lotta e di splendore, unica, universale. Libera», è stato il commento del presidente Emmanuel Macron in un messaggio diffuso su X. «La potenza della sua scrittura, la lucidità del suo sguardo sulla nostra storia, la sua capacità di scoprire le piaghe rimaste vive della storia coloniale facevano di Condé una delle scrittrici francofone più preziose», ha sottolineato Rachida Dati, ministra della Cultura. Il presidente del consiglio territoriale di Guadalupa, Guy Losbar, ha invocato l’organizzazione di «un omaggio nazionale, alla misura del suo incommensurabile talento».
Per aver vissuto e visto da vicino tanti Paesi africani (Costa d’Avorio, Ghana, Guinea e Senegal) Condé criticò i limiti del concetto di négritude (“negritudine”) proposto da grandi intellettuali come Aimé Césaire e Lépold Senghor. «Non c’è alcun motivo di fierezza nell’appartenere a questa o a quell’altra razza. Rimetto in discussione il fatto che la Negritudine alimenti il concetto secondo cui tutti i neri sarebbero uguali: è un atteggiamento totalmente razzista, ereditato di fatto dai bianchi che credono che tutti i neri si assomiglino», disse in un’intervista alla rivista Callaloo, nel 1989.
MaryseCondé iniziò a scrivere intorno ai quarant’anni, dopo aver affrontato tante prove della vita: dal suo arrivo a Parigi, per gli studi, nel 1953, alla perdita della madre, nel 1956, il razzismo, le nozze andate a monte con l’attore Mamadou Condé, anch’egli originario della Guinea, le condizioni precarie in cui ha cresciuto i quattro figli. Grazie al nuovo compagno incontrato in Sénégal, che diventerà suo marito e traduttore, Richard Philcox, potrà finalmente realizzare la vocazione di scrittrice, lasciando l’Africa nel 1970 ed iscrivendosi ad un dottorato in lettere a Parigi. Stereotipo del nero nella letteratura antillese-Guadalupa-Martinica, è il titolo della tesi da lei sostenuta nel 1976.
Dopo diversi lavori teatrali, la consacrazione come romanziera arrivò lo stesso anno con il libro Hérémakhonon seguito qualche anno dopo da Ségou (1984 e 1985), affresco in due volumi sul declino dell’impero bambara, in Mali, dal XVII secolo fino all’arrivo dei coloni francesi. Condé tornerà nella sua terra d’origine, la Guadalupa, dove appoggerà la causa indipendentista, poi andrà a vivere negli Stati Uniti come docente di letteratura francese. Per dieci anni, dal 1995 al 2005, guiderà il Centro per gli studi francofoni della Columbia University di New York. Intellettuale e romanziera affermata anche Oltreoceano, Condé lascerà gli Usa nel 2013, per ritirarsi a Gordes, nel sud della Francia. In passato, è stata anche citata tra le possibili pretendenti al Nobel per la Letteratura. Nel 2018 si aggiudicò a Stoccolma il “Nuovo Premio di Letteratura”, il cosiddetto Nobel alternativo, assegnato quell’anno da una “Nuova Accademia” che aveva preso il posto dell’Accademia svedese all’epoca travolta dagli scandali.