Con tutti i suoi limiti, l’arte ha almeno questo pregio: è un testimone attento, spietato e sincero, e, se tutto va bene molto molto longevo. Non dimentica nulla. Non dimentica la maledizione, ma – per fortuna – trova sempre il modo per trasformarla in suprema, sublime, duratura bellezza. (Flavio Caroli, Elogio della modernità, 2019)
Elogio della modernità di Flavio Caroli è un libro di arte, sicuramente, ma è anche un dialogo dell’autore con il pubblico. Interlocutrice fittizia nell’opera è la nipote che rivolge allo zio Storico dell’arte, una serie di domande. È un libro che sceglie di raccontare il mondo dell’arte dell’Otto-Novecento partendo da un punto di vista ben definito, quello delle Avanguardie. Tuttavia Caroli ci tiene a sottolineare come la grandezza dell’arte moderna non coincida affatto con la storia delle avanguardie perché si tratterebbe di un approccio sociologico che l’autore non condivide.
I primi avanguardisti sono per l’autore i Romantici “divertendosi” a scardinare una di quelle convinzioni diffuse per cui il primo nome che viene solitamente “associato” al Romanticismo in ambito artistico sia quello di Delacroix. In realtà il Romanticismo artistico nasce in Germania e in Inghilterra molto prima. Il quadro che Caroli sceglie come iconico del periodo è Il viandante sul mare di nebbia. Da notare come l’autore decida di spiegare le opere facendo riferimento spesso al mondo della letteratura, del cinema e della fotografia. L’opera di Caspar David Friedrich Due uomini contemplano la luna è infatti messo a confronto con l’idillio Alla luna di Giacomo Leopardi.
A volte la scelta dell’autore è anche quella di raccontare aneddoti come quello su William Turner che una volta su un treno stupì i passeggeri sporgendosi da un finestrino durante un temporale. Alla domanda di una signora del perché di questo comportamento “bizzarro” (il pittore si era infatti completamente bagnato la testa) questi rispose che voleva semplicemente godersi lo spettacolo. In questo racconto è racchiuso l’emblema del Romanticismo inglese: da quell’episodio nacque infatti il dipinto Pioggia, vapore e velocità.
Segue poi un capitolo dedicato all’Avanguardia realista. Caroli si sofferma in particolare su Gustave Courbet. In quest’occasione l’autore spiazza decisamente il lettore trattando dell’opera più controversa del pittore. Il racconto si sposta poi all’Avanguardia impressionista di Claude Monet, e all’Avanguardia simbolista di Vicent Van Gogh, “anima solitaria dell’arte” che rifugge qualunque catalogazione, e da cui “discendono” pittori come Chaïm Soutine, autore nel 1925 di un’opera intitolata il Bue squartato. Sempre dedicato all’Ottocento è il capitolo successivo con l’Avanguardia Liberty che, secondo Caroli, nel suo progetto di produrre oggetti di qualità a prezzi moderati è una forma di anticipazione della Bahaus Novecentesca. Con l’Avanguardia Espressionista si entra poi nel racconto dell’arte del XX secolo scegliendo di dare inizio alla narrazione con la Secessione Viennese e il suo protagonista indiscusso Gustave Klimt. L’autore si “sposta” poi in Francia con Henri Matisse e poi in Germania con l’Espressionismo tedesco che “divide” in due fasi: la prima fase il cui esponente più importante è Kirchner (1880-1938) e la seconda è quella del Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), gruppo artistico di cui fecero parte Kandinskij, Marc, Macke, Jawlensky ed altri.
Proseguendo poi nel Novecento non poteva mancare l’Avanguardia cubista in cui spiega come questa nasca dal portare alle estreme conseguenze l’idea di una moltiplicazione del punto di vista già sviluppata per la prima volta da Cézanne. Lo sguardo del Cubismo per l’autore è “binocolare” ed equivale ad una quarta dimensione, la dimensione tempo. È quindi un’arte perfettamente allineata all’avanguardia musicale e a quella letteraria. Il tempo di Picasso è infatti per l’autore perfettamente in linea con il tempo filosofico di Bergson, il tempo perduto di Marcel Proust e il flusso di coscienza di James Joyce. Caroli “tocca” poi l’Avanguardia futurista, che definisce la prima “avanguardia armata”. Non a caso si sofferma infatti su La rissa in galleria di Umberto Boccioni e sulla Manifestazione interventista di Carlo Carrà. Quello successivo è invece un capitolo che spezza la narrazione e lo schema generale del libro. È infatti dedicato ad una riflessione sul rapporto tra il concetto di iconoclastia nato all’interno del cristianesimo orientale e la nascita dell’arte astratta. È una riflessione cui l’autore tiene particolarmente essendo una sua personale intuizione e interpretazione. Col capitolo successivo riprende invece il racconto sulle Avanguardie. Trova quindi spazio quella metafisica che è da Caroli definita contemplativa con De Chirico, Carrà e Savinio. Lo Storico dell’arte vede nella sintonia nata con Giovanni Papini e nel suo essere profeta di una “cultura negativa”, di una visione del mondo come nonsense, la nascita dell’arte di De Chirico.
È poi l’Avanguardia Dada a essere protagonista del capitolo successivo: questa è definita iconoclasta. Se infatti – scrive l’autore – «la Metafisica vive di immagini, il dadaismo intende distruggere l’intero castello ideale della borghesia, immagini, letteratura, pensiero, filosofia, comportamenti e moralità». Nel movimento Caroli inserisce anche un autore come Max Ernst perché sebbene di solito il suo nome sia associato al Surrealismo, il passaggio avviene grazie all’esperienza Dada, aspetto che è spesso trascurato nella storiografia dell’arte. Prosegue poi trattando di quello che definisce Surrealismo allegro con Joan Mirò. Chiude il capitolo Salvador Dalì considerato «una delle intelligenze che rendono l’arte contemporanea imbarazzante» per la «sua vita sostenuta come una nota acutissima di violino sulla lama dell’equivoco e dell’assurdo». “Padre” dell’Avanguardia del dubbio è invece Émile Bernard, che Caroli ritiene una figura ingiustamente dimenticata. A detta dello Storico dell’Arte è un personaggio chiave per la nascita di quello che sarà poi il Simbolismo con il quadro Bretoni su un prato verde del 1888 che poi venne ripreso da Paul Gaugin nel suo Visione dopo il sermone, considerato da sempre nella storiografia artistica, «la vera origine del Simbolismo stesso». Anche un artista estremamente particolare come Marc Chagall è inserito tra gli avanguardisti del dubbio.
Se le Avanguardie sono il filo rosso conduttore del libro, il capitolo successivo è dedicato a L’arte delle dittature. In particolare l’autore si sofferma sul Pastore di Mario Sironi e sulla Lupa di Arturo Martini. In questo caso c’è il dichiarato tentativo di abbattere il pregiudizio per il quale l’adesione ad un’ideologia pregiudichi la possibilità di produrre un’arte di qualità e qui il riferimento si sposta alla letteratura con Ezra Pound e Louis Ferdinand Céline. Il racconto prosegue poi nella Grande corsa dell’arte moderna con un approfondimento sugli Stati Uniti di Eduard Hopper, di Jackson Pollock e della fotografia che immortalò il Paese nella prima parte del Novecento. Una domanda “fittizia” della nipote riporta poi l’autore a trattare del Vecchio Continente e della dicotomia tra il mondo artistico di Parigi e quello tedesco (e nordico perché il riferimento è anche alla Scandinavia di Munch) nella prima metà del XX secolo. Chiude infine il libro di Caroli un intero capitolo dedicato a quello che definisce il quadro più bello della modernità: Guernica.
Elogio della modernità è un libro che accompagna il lettore in un viaggio appassionante nell’arte degli ultimi due secoli offrendo scorci di prospettive differenti col grande pregio di inserire la riflessione artistica in un contesto più ampio che abbraccia anche la letteratura, la filosofia e la storia dell’Otto-Novecento.
Francesca Rossetti