Nuova produzione per Emanuele Santoro che debutterà il 29 marzo con un classico del cosiddetto teatro dell’assurdo, La lezione di Eugène Ionesco. Una studentessa, un professore, la sua governante. Una studentessa si presenta alla casa di uno stimato professore per ricevere alcune ripetizioni di matematica e filologia al fine di conseguire il “dottorato totale”. Ad accoglierla e ad annunciarla, dopo aver rassettato la stanza dove si terrà la lezione, è una governante che ogni tanto farà la sua comparsa in scena. Tra allieva e professore si instaura sin da subito un rapporto amichevole, con un continuo scambio di gentilezze e smancerie, accompagnato da lodi reciproche. Poi inizia l’interrogazione: il professore pone alla ragazza domande di una banalità disarmante, rimanendo esterrefatto nel constatare come lei sappia dare una risposta a tali quesiti. Quando però l’allieva inizia a incontrare delle difficoltà, la situazione muta e l’animo dell’insegnante comincia a scaldarsi… la lezione di Ionesco è caratterizzata da una fredda comicità, da un amaro sorriso, ed è tutta giocata sull’assurdo. È uno splendido dramma farsesco sul potere delle parole, capace di far emergere dal subconscio la parte più oscura dell’essere umano. Una satira sulla banalità del linguaggio quotidiano che esprime la falsità dei rapporti umani. Quindi, se avete voglia di scoprire come l’aritmetica conduce alla filologia e la filologia conduce al peggio, venite a teatro!
Al regista e interprete abbiamo rivolto alcune domande.
Perché ha scelto questo testo per la sua nuova produzione?
È il terzo testo teatrale di Ionesco su cui lavoro, dopo Il quadro e Le sedie. Non c’è due senza tre! Scherzi a parte… A riportarmi all’opera di Ionesco sono ancora una volta i temi comunicazione e linguaggio, che unitamente al genere, quello dell’assurdo, si traducono per me in strumenti privilegiati per praticare e sperimentare la mia idea di teatro. Un teatro che abbia come punto di partenza un’indagine sull’animo umano, che sia in qualche modo utile a capire ciò che siamo e dove stiamo andando, o dove e a cosa ci siamo fermati, eventualmente. In Ionesco la parte più oscura della natura umana emerge prepotentemente, e come regista, ma anche come attore, mi sento molto attratto dalla possibilità mettere in scena conflitti che sono prima di tutto i miei. Autoanalisi, si potrebbe definire.
Mettiamo che la dovesse spiegare ad un ragazzo/a, che non ha mai sentito parlare di quest’opera, come la riassumerebbe?
Sarebbe più interessante far leggere l’opera al ragazzo e farsela riassumere da lui. Decisamente più interessante. Primo perché si misurerebbe l’attualità del testo, secondo, e decisamente più importante, perché un mio riassunto sarebbe comunque una mia interpretazione, quindi, indirettamente, un mio tentativo di dargli un significato. “Cadono soltanto le parole soggette ad un significato, appesantite dal loro senso, e proprio per questo destinate a soccombere, a precipitare nelle orecchie dei sordi.” Parola di Ionesco. Mi scusi, ma vuole che lo contraddica? Non sia mai.
Su quali aspetti in particolare ha voluto porre l’accento nel suo adattamento drammaturgico?
Sulla comicità fredda e la drammaticità spietata che, senza bisogno di particolari intrighi, si sprigionano dall’opera, e sull’aspetto più penoso, e anche inquietante, dei personaggi che la compongono. Almeno, così nelle intenzioni…
Qual è la «Lezione» di Ionesco oggi?
Credo niente di diverso da ciò che è stata dal 1951 ad oggi, e che si esprime con lo stesso Ionesco quando dice “Il mondo mi è incomprensibile, aspetto che qualcuno me lo spieghi”, riferendosi, forse, anche ai guasti del linguaggio, al suo potere subdolo, e di quanto noi, nel nostro conformismo, ne siamo prigionieri.
Oltre Emanuele Santoro, in scena, Mara Crisci e la partecipazione di Roberto Albin. Teatro Foce di Lugano, 29-31 marzo, ore 20.30 (do ore 18); Teatro Paravento di Locarno, 6-7 aprile, ore 19 (d9o ore 17); Il Cortile di Viganello, 10-14 aprile, ore 20.45 (do ore 17). www.ilcortile.ch
Manuela Camponovo