«C’est le temps que tu as perdu pour ta rose qui fait ta rose si importante» (Antoine de Saint-Exupéry)
Interrompo la mia attività e vado.
Da casa mia alla Reminova, libreria e casa editrice, in via Bossi 19-Lugano, non sono neanche cinquanta passi… lunghi come i miei, però!
Arrivo alle 16.00, quasi in punto, speculando che cominceranno la cerimonia qualche minuto dopo. Oggi, c’è la premiazione dei giovani vincitori del concorso letterario Sguardi di luce, creato dalla Reminova stessa.
Il locale rialzato e sobriamente moderno – pochi gradini prima di varcare il vetusto e manierato portone che sposa il legno al vetro e al ferro – dalle vetrine che danno sulla strada, mi appare già pieno; infatti, s’intravvedono delle persone sedute fino agli ultimi posti della platea di sedie singole, realizzata per l’occasione, attorniata dai ripiani contenenti i libri in vendita: un pubblico giovane per lo più, ma anche adulti e addirittura alcuni bambini. Trovo posto, l’ultimo libero sembra indicato con un cuscino appoggiato su uno scaffale basso laterale, proprio dietro la grande vetrata.
La cerimonia, introdotta brevemente da un presentatore e da una presentatrice, giovani anch’essi, si apre sull’idea centrale del duplice progetto di concorso: dare ai giovani con talento di scrittura, dai 14 ai 17 e dai 17 ai 20 anni, libertà tematica di esprimersi – nell’urgenza lapidaria di un messaggio rivolto al nostro mondo – limitandoli tuttavia a una struttura narrativa densamente breve, ossia il racconto.
I due primi premiati dei due gruppi del Concorso sono indicati seduti in prima fila: una ragazza e un ragazzo. Vedo, di lei, solo i lunghi capelli chiari che le scivolano naturali sulle spalle, mentre, di lui, il profilo netto e liscio del volto sormontato da una capigliatura ondulata ma leggermente a spazzola. Non si alzano, non si girano a guardare il pubblico curioso.
Il libraio-editore, Alexandru Cefan, ringrazia i giovani e il pubblico presente con umile discrezione, con voce quasi impercettibile, come a farsi da parte per dar la parola subito a loro, agli imberbi scrittori, carichi di promesse. Questi, applauditi a più riprese dall’unanime pubblico, paiono silenziosamente ringraziare – silhouettes senza volto per me, ultima arrivata, e restii (sensibili? timidi? non abituati ad apparire davanti a un pubblico?) – a far della loro parola scritta, una voce da ascoltare: letta, declamata, recitata, con l’intero corpo – come anticamente, direbbe Barthes – in tutta la sua gestualità, tanto attesa dai convenuti assorti e immobili come si conviene.
La giovane eletta, dunque, si rifiuta di leggere il suo racconto. Il presentatore non insiste.
Il ragazzo, invece, accetta, ma vuole leggere il suo racconto restando seduto e continuando a dare le spalle al pubblico. La sua lettura scorre nella sala fattasi argine di profondo e silente ascolto ma, ecco un’incertezza e il giovane autore-lettore si ferma:
– Non so leggere quello che ho scritto…! ironizza; poi, più in là, a un suo ingarbuglio, reagisce addirittura emettendo un suono schifato e poco elegante.
Ricordo che ogni tanto, l’ho sentito fare in classe, da qualche raro allievo poco abituato o amante della lettura ad alta voce, questo strano sgraccu – per usare una parola straniera non inglese! – ma immancabilmente seguito da un intervento poco consenziente a simili reazioni. È che, contrariamente alla moderna paideia, che tende ad accondiscere ai discepoli, bisognerebbe spingere, se non obb-ligare, (sì, nel senso di affidar loro un compito atto a portarli a sormontare l’ostacolo. Dopo, non subito magari, ma più tardi, sicuramente, te ne ringraziano!) gli studenti ad alzarsi, muoversi regolarmente nello spazio didattico, facendoli scollare-scrollare dal loro strategico banco, per fronteggiare – man mano più à l’aise e in relazione dialettica – tutta la classe, e anche il docente, certo, prendendo momentaneamente il suo posto.
Qualcuno dal pubblico (Insomma! è lì per quella parola scritta premiata e che ora vuole almeno parzialmente sentire prima di riapplaudirla in conclusione di cerimonia) ha chiesto gentilmente se non fosse possibile ascoltare anche il racconto della ragazza:
– Magari letto da qualcun altro…, sussurra.
Un’eco di insistenza mormorata.
Il presentatore si è allora prodigato e messo all’opera: fronteggiando il pubblico e alzando anche il volume di voce, per coprire un temporaneo rumore intruso proveniente dall’urbano locale attiguo, ha saputo con perizia acquisita far vibrare il testo della giovane renitente.
Racconti di giovani esordienti quelli che abbiamo potuto assaporare.
Giovani del XXI secolo già avviato.
Eppure, sia dell’uno sia dell’altro testo, non sfuggono riferimenti sociologici che ci riconducono a molti decenni or sono e che svelano un sostrato culturale ereditato per osmosi, probabilmente dai genitori se non dai nonni, oppure dai mass media o dal cinema, e non ancora del tutto sparito, velato quasi di nostalgia: il mondo dei re e delle principesse, quello dei nomadi indiani guerrieri con relative frecce in paesaggi desolati, per giungere all’ambientazione neo-realista dove giovani fumatori di “sigarette Marlboro” vagano in stato di spleen o di apnea…).
Eppure stupisce, che questi giovani – che facilmente immaginiamo alle prese con le tecnologie all’avanguardia e l’intelligenza artificiale mentre parlano una lingua schizzata – prediligano generi letterari come la fiaba, il racconto onirico-naturalistico, il diario intimo, l’intertesto mitologico omerico…; e che sviluppino temi d’intramontabile umanità, classici, già riscontrabili nella letteratura atavica, orale: il filo fragile che lega la nascita della vita e la morte, le relazioni umane (popoli, famiglia, amici) con tutto il corollario di sentimenti notori (odio, guerra, amore, affetti vari), la fatica del vivere (adolescenza, abbandoni, malattia, suicidio, …), la faticosa quête di un senso da dare all’esistenza sfuggendo a quei desideri che – allo sbando – chiamano piaceri effimeri e fatali, e non da ultima si staglia – trapuntando instancabilmente gli orizzonti – l’anelata speranza.
Gli applausi sono meritati: I giovani hanno scritto. Si sono espressi. Si sono coinvolti. Sono lì. Il resto verrà. Bisogna aver pazienza.
E l’ancor esordiente libraio-editore Cefan ha mostrato agli assembrati, captati e meditanti, l’opuscolo che raccoglie gli implumi ma talentuosi racconti vincitori. Poco importa se il formato o la copertina non siano di grande originalità grafica, ciò che conta è il suo prezioso contenuto.
*****
Tornando a casa, pochi giorni fa, mi sono fermata e sono entrata nella libreria-editoria del Signor Cefan (aperta esattamente un anno fa):
– Tutto al 40 %. Chiudo.
– Per vacanza?
– No per sempre.
…
Nella breve Introduzione che introduce i lettori ai testi dell’opuscolo Sguardi di luce, il Signor Cefan parla di sogni difficilmente raggiungibili dove poter veramente vivere la realtà auspicata. E spiega: Il mio sogno era di trovare dei ragazzi appassionati che credono nel loro talento per la scrittura e, con questo concorso, poter dare loro voce e una speranza.
La vetrina della sua libreria-editoria con la raccolta dei racconti pubblicata ora lì videomostrata – che innumerevoli passanti e automobilisti possono vedere passando, spassando e sostando in via Bossi – parrebbe testimoniare del suo sogno raggiunto con paziente attesa.
Perché allora chiude il Signor Alexandru Cefan?
Fate… due passi e andate a chiederglielo, a lui, siete ancora in tempo, nella sua lungamente ambita libreria-editoria che – come temeva per la sua rosa il Petit Prince di Saint-Exupéry – est menacée de disparition prochaine.
Lugano / novembre 2024
Grazia Bernasconi-Romano