Ci salveremo non è solo il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio de Bortoli: è l’auspicio dell’autore, che – nonostante le turbolenze che il Belpaese sembra sperimentare (più o meno volontariamente) ogni giorno – non se la sente di mettere un punto di domanda dopo la sua “profezia”. L’obiettivo del libro, scrive il Nostro, è quello di rianimare un senso dello stare insieme perduto, un senso di responsabilità collettivo annebbiato. L’ex direttore del Corriere della Sera è ottimista nei suoi “appunti per una riscossa civica” (parole da usare con il contagocce quando si parla d’Italia): «Siamo migliori di quello che sembriamo», scrive de Bortoli. «Nel descrivere il proprio paese gli italiani sono infatti più pessimisti e severi di quanto non lo siano gli stranieri».
L’autore critica quella che chiama “intransigenza sovranista” e ne rileva le pesanti contraddizioni nella comunicazione e nei contenuti dei leader politici che se ne servono sia in Italia che in Europa. «L’amara realtà è che anche il governo del cambiamento, in questo in perfetta continuità con il passato, non ha voluto affrontare la grande questione dell’evasione fiscale» (38’291 persone in Italia dichiarano redditi superiori a trecentomila Euro e l’IVA è l’imposta più evasa, circa trentacinque miliardi; statistiche del Ministero dell’Economia). Il “non tasseremo gli italiani” – molti dei quali non considerano il fatto che cento punti di spread dovuti alle improvvide dichiarazioni di alti esponenti dei partiti di governo costano quattro miliardi l’anno di interessi passivi – è una certezza da riporre nel cassetto: la pressione fiscale con l’ultima legge di bilancio del governo italiano è cresciuta dal 41.9 al 42.3 per cento.
In merito all’Europa, male supremo nella retorica demagogica, de Bortoli avverte: «Non si possono sottoscrivere liberamente regole europee e poi denunciare pressioni inesistenti o far credere che i sia stata una “circonvenzione d’incapace”» (il solito refrain di dare la colpa ai predecessori). «Il sovranismo non è indipendenza»; cosa che ha ricordato anche il Presidente uscente della BCE, Mario Draghi, quando nel febbraio scorso ricevette a Bologna la laurea honoris causa: «L’Unione Europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli stati membri di essere sovrani.» E anche (più) ricchi. Scrive de Bortoli: «Eravamo più solidali e rispettosi dei bisogni degli ultimi quando eravamo più poveri, malnutriti, scarsamente istruiti, ma non privi di umanità.» In compenso, alle volte sembra che ci si sia abituati sempre di più al peggio: «Il pessimo esempio paga. Ecco la differenza con il passato. Il pessimo esempio è inarrestabile. Conferisce un dividendo elevato […] “Sono come voi, ho dei difetti.” E li esibisco senza vergognarmene […] Un esibizionismo deteriore. Un misto di volgarità e ignoranza. La sobrietà non è più un valore, è una debolezza identitaria.»
Lancia degli allarmi de Bortoli: «Lo Stato non è un protettore compassionevole di ognuno di noi […] Cresce la voglia di uno Stato generoso […] Ma la concorrenza non è un male endemico, è il motore di un’economia moderna. Purtroppo è estranea alla cultura di base del paese.» Un paese, «che spende per finanziare il passato più di quanto investa nel futuro ha davanti a sé un destino segnato»: non è mistero – ma del resto è stato scritto anche nello scorso Documento di Economia e Finanza (DEF) – che le due manovre di bandiera del governo italiano attualmente in carica non si curano di stimolare una crescita soddisfacente e in linea con gli altri paesi europei. Sia Reddito di Cittadinanza che Quota 100 sono difatti due misure finalizzate al consolidamento del consenso delle sacche di popolazione che alimentano l’elettorato di chi governa: da una parte si cerca di aiutare chi versa in condizioni d’indigenza ed è disoccupato (due fenomeni che andrebbero trattati con strumenti diversi), dall’altra si vuol mandare in pensione anticipata determinate categorie (quando i trend demografici ci dicono che le speranze di vita si allungano). Insomma, spesa pubblica “a palla”, come dicono i giovani.
Giovani (sono 5’114’046 italiani residenti all’estero) che letteralmente scappano da un paese che offre loro poco, anzi pochissimo. Ci salveremo se riscopriremo il valore dello studio e dell’esperienza, continua de Bortoli; «se ci libereremo dal pericoloso influsso dei falsi miti sulla scienza e sulla medicina». Cose portate alla luce anche dal professor Roberto Burioni nei suoi libri – La congiura dei somari e Balle mortali – o dalla neoeletta Eurodeputata Irene Tinagli, che in La grande ignoranza illustra come i primi governi della Repubblica fossero composti tutti da letterati (oggi siamo al settanta per cento: due vicepremier esclusi). «Il Parlamento ha meno laureati di quello appena tornato alla libertà dopo il Fascismo», nota amaramente de Bortoli: «l’ignoranza non andrebbe esibita, ma curata.» Al contrario, oggi «l’ignoranza è esibita come prova di autenticità, di sincerità caratteriale» nel grande mare della rete e delle reti sociali.
Detto tutto questo, l’autore è ottimista: non aggiunge punti interrogativi al titolo del suo libro e ha speranza nell’avvenire. Ricorda che dall’ultima indagine ISTAT dell’ottobre 2018 le istituzioni no-profit attive in Italia erano 343’432, pari a 812’706 dipendenti. «La più grande azienda del paese». E ancora: «Ci salveremo se torneremo a investire nel nostro futuro», ma per farlo, dobbiamo portare con noi un potente antidoto contro i comodi alibi e le false verità. «Ci salveremo se non perderemo la memoria […] L’unico autentico vaccino contro il risorgere del nazionalismo […] che semplifica la realtà e agita ipotetici complotti internazionali, riesuma antichi sospetti. Affonda la testa nel Novecento più buio e sanguinoso e riemerge ebbro di slogan e bersagli. Con la bocca grondante di insulti. Addita burattinai nascosti. Gnomi misteriosi quanto avidi.»
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Ci salveremo non è solo il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio de Bortoli: è l’auspicio dell’autore, che – nonostante le turbolenze che il Belpaese sembra sperimentare (più o meno volontariamente) ogni giorno – non se la sente di mettere un punto di domanda dopo la sua “profezia”. L’obiettivo del libro, scrive il Nostro, è quello di rianimare un senso dello stare insieme perduto, un senso di responsabilità collettivo annebbiato. L’ex direttore del Corriere della Sera è ottimista nei suoi “appunti per una riscossa civica” (parole da usare con il contagocce quando si parla d’Italia): «Siamo migliori di quello che sembriamo», scrive de Bortoli. «Nel descrivere il proprio paese gli italiani sono infatti più pessimisti e severi di quanto non lo siano gli stranieri».
L’autore critica quella che chiama “intransigenza sovranista” e ne rileva le pesanti contraddizioni nella comunicazione e nei contenuti dei leader politici che se ne servono sia in Italia che in Europa. «L’amara realtà è che anche il governo del cambiamento, in questo in perfetta continuità con il passato, non ha voluto affrontare la grande questione dell’evasione fiscale» (38’291 persone in Italia dichiarano redditi superiori a trecentomila Euro e l’IVA è l’imposta più evasa, circa trentacinque miliardi; statistiche del Ministero dell’Economia). Il “non tasseremo gli italiani” – molti dei quali non considerano il fatto che cento punti di spread dovuti alle improvvide dichiarazioni di alti esponenti dei partiti di governo costano quattro miliardi l’anno di interessi passivi – è una certezza da riporre nel cassetto: la pressione fiscale con l’ultima legge di bilancio del governo italiano è cresciuta dal 41.9 al 42.3 per cento.
In merito all’Europa, male supremo nella retorica demagogica, de Bortoli avverte: «Non si possono sottoscrivere liberamente regole europee e poi denunciare pressioni inesistenti o far credere che i sia stata una “circonvenzione d’incapace”» (il solito refrain di dare la colpa ai predecessori). «Il sovranismo non è indipendenza»; cosa che ha ricordato anche il Presidente uscente della BCE, Mario Draghi, quando nel febbraio scorso ricevette a Bologna la laurea honoris causa: «L’Unione Europea è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli stati membri di essere sovrani.» E anche (più) ricchi. Scrive de Bortoli: «Eravamo più solidali e rispettosi dei bisogni degli ultimi quando eravamo più poveri, malnutriti, scarsamente istruiti, ma non privi di umanità.» In compenso, alle volte sembra che ci si sia abituati sempre di più al peggio: «Il pessimo esempio paga. Ecco la differenza con il passato. Il pessimo esempio è inarrestabile. Conferisce un dividendo elevato […] “Sono come voi, ho dei difetti.” E li esibisco senza vergognarmene […] Un esibizionismo deteriore. Un misto di volgarità e ignoranza. La sobrietà non è più un valore, è una debolezza identitaria.»
Lancia degli allarmi de Bortoli: «Lo Stato non è un protettore compassionevole di ognuno di noi […] Cresce la voglia di uno Stato generoso […] Ma la concorrenza non è un male endemico, è il motore di un’economia moderna. Purtroppo è estranea alla cultura di base del paese.» Un paese, «che spende per finanziare il passato più di quanto investa nel futuro ha davanti a sé un destino segnato»: non è mistero – ma del resto è stato scritto anche nello scorso Documento di Economia e Finanza (DEF) – che le due manovre di bandiera del governo italiano attualmente in carica non si curano di stimolare una crescita soddisfacente e in linea con gli altri paesi europei. Sia Reddito di Cittadinanza che Quota 100 sono difatti due misure finalizzate al consolidamento del consenso delle sacche di popolazione che alimentano l’elettorato di chi governa: da una parte si cerca di aiutare chi versa in condizioni d’indigenza ed è disoccupato (due fenomeni che andrebbero trattati con strumenti diversi), dall’altra si vuol mandare in pensione anticipata determinate categorie (quando i trend demografici ci dicono che le speranze di vita si allungano). Insomma, spesa pubblica “a palla”, come dicono i giovani.
Giovani (sono 5’114’046 italiani residenti all’estero) che letteralmente scappano da un paese che offre loro poco, anzi pochissimo. Ci salveremo se riscopriremo il valore dello studio e dell’esperienza, continua de Bortoli; «se ci libereremo dal pericoloso influsso dei falsi miti sulla scienza e sulla medicina». Cose portate alla luce anche dal professor Roberto Burioni nei suoi libri – La congiura dei somari e Balle mortali – o dalla neoeletta Eurodeputata Irene Tinagli, che in La grande ignoranza illustra come i primi governi della Repubblica fossero composti tutti da letterati (oggi siamo al settanta per cento: due vicepremier esclusi). «Il Parlamento ha meno laureati di quello appena tornato alla libertà dopo il Fascismo», nota amaramente de Bortoli: «l’ignoranza non andrebbe esibita, ma curata.» Al contrario, oggi «l’ignoranza è esibita come prova di autenticità, di sincerità caratteriale» nel grande mare della rete e delle reti sociali.
Detto tutto questo, l’autore è ottimista: non aggiunge punti interrogativi al titolo del suo libro e ha speranza nell’avvenire. Ricorda che dall’ultima indagine ISTAT dell’ottobre 2018 le istituzioni no-profit attive in Italia erano 343’432, pari a 812’706 dipendenti. «La più grande azienda del paese». E ancora: «Ci salveremo se torneremo a investire nel nostro futuro», ma per farlo, dobbiamo portare con noi un potente antidoto contro i comodi alibi e le false verità. «Ci salveremo se non perderemo la memoria […] L’unico autentico vaccino contro il risorgere del nazionalismo […] che semplifica la realtà e agita ipotetici complotti internazionali, riesuma antichi sospetti. Affonda la testa nel Novecento più buio e sanguinoso e riemerge ebbro di slogan e bersagli. Con la bocca grondante di insulti. Addita burattinai nascosti. Gnomi misteriosi quanto avidi.»
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com