Teatro

Festival d’Avignone, Quando sul palco ti ritrovi Hollande

“Nous, l’Europe, Banquet des peuples” © Christophe Raynaud de Lage

Sorpresa: evento o intervento inatteso, che coglie impreparati, suscitando meraviglia o stupore per lo più gradevole. Il dizionario interviene in nostro aiuto anche ad Avignone, dove abbiamo vissuto attimi di incredulità quando sul palco ricreato nella corte del liceo Saint Joseph, a un tratto, come dal nulla, si è materializzato l’ex Presidente della Repubblica francese. François Hollande, che fino a un paio d’anni fa ci salutava perlopiù dalle tribune politiche, ieri abbandonava la sua poltroncina di prima fila in platea e montava sul palcoscenico irrompendo a spettacolo iniziato. Non solo: dicendo la sua, e diffusamente. Ma prima di dirvi quali siano stati i contenuti espressi dall’ex inquilino dell’Eliseo, e con che solerzia, non possiamo prescindere dal riferirvi in che contesto queste riflessioni sono state rese pubbliche. E bisognerà pur ammettere che qui il Festival di Avignone ha davvero fatto centro; a confermarlo c’erano le centinaia di persone del pubblico che non potevano credere ai loro occhi: È lui? Sarà proprio Hollande? O qualcuno che gli assomiglia? Queste le parole che siamo riusciti ad intercettare nel brusio generale del momento.

Di scena, da ormai più di un’ora, c’era Nous, l’Europe, Banquet des peuples, una pièce di Laurent Gaudé messa in scena da Roland Auzet. Sul palco, arrotondando per difetto, sì e no cento persone fra comparse, coristi, performer, videomaker, cantanti, danzatori e, naturalmente, attori e cantanti (provenienti da decine di Paesi europei). Uno spettacolo politico, ma non in termini di denuncia, non soltanto: il chiaro intento era quello di raccontare chi vogliamo essere, noi europei. E non da un punto di vista francocentrico: l’ambizione è di guardare alla questione europea da una prospettiva… europea, onnicomprensiva. Insieme. Una creazione nata al Festival d’Avignone per il Festival. Parlare di un’Europa in bilico, un continente, una geografia che vuole divenire filosofia. Ma perché soffre, questa Europa? Poiché manca di desiderio, di sentimento di appartenenza, perché schiacciata da norme, leggi, scambi commerciali, divieti. La risposta di Gaudé è dunque un poema, uno spettacolo che scorre inarrestabile come un fiume, incontrando moti di protesta (messi in scena dallo scatenarsi di musica metal, da muri che cadono, dalla continua ribellione che si accende fra le fazioni) ma anche possibilità di dialogo. Come scongiurare un epilogo fallimentare per la neonata Europa? Rendendo pubblica la storia di ogni Paese, comprese le sue vergogne, le sue ombre.

 

“Nous, l’Europe, Banquet des peuples” © Christophe Raynaud de Lage

Al centro di questo enorme progetto scenico ci sono la musica e il canto, declinati in modo sempre diverso (lo spettacolo toccherà varie città di Francia, e non ovunque vi sarà la chance di avere un cast tanto numeroso). Il testo di Gaudé ci riconduce a un lirismo di fondo, inteso in senso politico e musicale. È la tensione fra gruppi e individui di vari Paesi ad aver nutrito e guidato la drammaturgia.

Un quesito che lo spettacolo pone è certamente questo: all’interno di una massa, qual è il ruolo della fratellanza? E perché la bellezza delle singole comunità si rivela essere anche tanto fragile e vulnerabile? Ma forse, più di tutto, Nous, l’Europe, Banquet des peuples interroga il senso di responsabilità di ciascun individuo. Perché, a prescindere dal Paese europeo di origine, ogni individuo sperimenta disagio di fronte al piedistallo su cui si vorrebbe l’Europa.

 

Più che uno spettacolo ci è parso un tentativo armoniosamente concepito di essere ottimisti e, seppur moderatamente, progressisti. Sicuramente idealisti. Con un messaggio nucleale, quello di Hollande: «L’Europa ci dà la possibilità di fare ed essere ciò che da soli non saremmo mai in grado. Ma per essere pienamente europei, occorre essere pienamente francesi. Non perdiamo nulla essendo europei, anzi, guadagniamo. La nostra patria è il mondo, un mondo sotto la minaccia del cambiamento climatico; un soggetto su cui l’Europa può chinarsi e fare la differenza. Ma cosa vuol dire credere nell’Europa, quando con la nostra condotta stiamo rischiando di perdere tutta l’eredità consegnataci dai nostri padri, i figli della rivoluzione francese? È credere alla storia, le guerre, le crisi, ma anche credere alla conquista della democrazia, alla geografia, ai valori condivisi. Ma ci vogliono anche dei limiti che distinguano ciò che è Europa e ciò che non lo è. Perché ci sono Paesi in Europa che non vogliono camminare allo stesso passo degli altri; vogliono frenarne la marcia. Io “europeo” mi ci sono sentito solo quel giorno, quel giorno preciso in cui l’Europa è stata creata. Difendiamola. A tutti i costi».

Margherita Coldesina

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