Laura Quadri
Si conclude con delicatezza il Festival Internazionale del Teatro (FIT), lasciando spazio a due spettacoli che danno voce alla fragilità, sia essa quella dovuta alla disabilità, nello spettacolo del Teatro La Ribalta – Kunst der Vielfalt intitolato “Ali” – sul palco del Foce nel pomeriggio di ieri – oppure della fragilità vissuta come condizione sociale, quella di molte donne immigrate negli anni Novanta in una Grecia ostile – ieri come allora – allo straniero, alla ricerca di una nuova vita e di un futuro migliore per i propri figli; così nello spettacolo della compagnia greca Anestesis Azas & Prodromos Tsinikoris intitolato emblematicamente “Clean City”.
Raro esemplare di teatro politico, intelligente, capace di sfruttare il carattere sovversivo del riso e portato sulla scena con delle attrici che in realtà impersonano se stesse, “Clean City” non ha potuto che lasciare gli spettatori profondamente toccati e meditabondi, di fronte al punto di vista di cinque donne emigrate in Grecia che per la prima volta potevano parlare di quello che hanno vissuto nella loro difficile condizione. L’elaborazione drammaturgica non ha certo offuscato le loro testimonianze di una vita concretamente vissuta, di cui i registi Anestesis Azas e Prodromos Tsinikoris hanno selezionato i punti salienti da presentare al pubblico, assumendosi quella finalità che in realtà dovrebbero assumersi i mass media in una società pluralistica: la finalità di informare correttamente e, soprattutto, di mostrare tutti i punti di vista, anche delle minoranze.
Cinque donne, quelle sul palco, provenienti dalle regioni più disparate della terra (Sud Africa, Bulgaria, Russia, Filippine, Albania), che hanno vissuto un importante capitolo nella storia greca, segnata dalle contraddizioni sociali: dall’emergere del partito nazionalista Golden Dawn alle promesse mai mantenute di Tsipras, fino alla crisi generale degli ultimi tempi e all’azione “piazze pulite” del 2005; senza contare le piccole fatiche quotidiane per lottare contro una burocrazia incomprensibilmente complessa. Ad arricchire la drammaturgia, durante lo spettacolo, una voce fuori campo sviluppa delle riflessioni importanti sul tema dell’immigrazione, dell’integrazione e della globalizzazione, per ricordarci in modo provocatorio come la mentalità dell’epurazione etnica sia in realtà ancora latente nell’attuale struttura degli Stati-Nazione, che chiamano la loro paura di contaminazione di fronte allo straniero semplice “difesa dei confini”. In Europa – sostiene la voce narrante – si parla tanto di interculturalità ma si finisce per coltivare ancora, in modo nascosto, l’idea di una “nazione pura”.
Un quadro preoccupante, a tratti davvero allarmante, quello che le cinque attrici – donne delle pulizie sul palco come nella vita – assieme al loro regista riescono a portare sulla scena, un quadro fatto di chiusure e mentalità stereotipate. Ma almeno qualcosa di positivo c’è e lo dichiarano loro stesse, in un incontro con il pubblico alla fine dello spettacolo: “da quando ci hanno visto recitare, soprattutto le persone per le quali lavoriamo, ci chiamano con il nostro nome, ci trattano con rispetto; abbiamo ritrovato la nostra identità”. E dunque, ancora una volta, il Teatro si rivela strumento non di vittimismo ma di emancipazione, non di ripiego ma di riscatto nonché veicolo di pensieri importanti, come quel toccante messaggio finale alle figlie e ai figli dall’altra parte del globo: “Qualunque lavoro facciate, fatelo con dignità”.
Con altrettanta sensibilità e molta poesia gli attori di “Ali”, spettacolo del regista Antonio Viganò, hanno saputo affrontare una tematica altrettanto complessa come quella dell’uomo disilluso che sembra non avere più niente da perdere e in cui potrebbero identificarsi molte persone schiacciate, per un motivo o per l’altro, dal peso della vita. Sul palco due attori affetti da disabilità, che insieme – grazie alla loro simpatia ma anche alla loro abilità artistica – hanno saputo incantare il pubblico, l’uno interpretando un sognante angelo custode disceso sulla terra “per imparare qualcosa”, l’altro un umano dal cuore di pietra, che non crede più nei sogni e, soprattutto, è perseguitato dai ricordi. Sarà uno scambio il loro molto ravvicinato, fatto di battute semplici ma molto penetranti. L’angelo sceso dal cielo chiede, interroga, vuole sapere il perché di ogni cosa e soprattutto capire perché i ricordi possano fare così male. “Ali” – la quinta pièce di questa straordinaria compagnia – diventa dunque una riflessione compiuta sulla perdita e la morte, che solcano in modo indelebile le nostre anime ma che possono anche costituire la ricchezza di una vita, che è un farsi e disfarsi continuo di storie che generano ricordi. E l’angelo insegnerà all’uomo proprio questo: che anche da un lutto può nascere un elogio alla vita, che le ferite ci fanno vivere e ci restituiscono, per finire, a noi stessi. Ma questa saggezza è una conquista che dura tutto lo spettacolo. La lotta fra l’angelo e l’uomo diventa dura come un gioco, l’incontro di due forze opposte che si scontrano e a tratti si amalgamano, mostrandoci quanto, ad ogni modo, sia bello e molto più arricchente fare il viaggio della vita in due, condividendo. Un gioco crudele e poetico in cui l’uomo riscoprirà la sua unicità grazie all’insistenza dell’angelo. “Perché tu tocchi dove fa male?” chiederà l’uomo arrabbiato all’angelo. Ed è la stessa domanda con cui se ne vanno gli spettatori, davanti a una pièce che tocca davvero le rigidità di ciascuno, i nostri sogni infranti, la nostra difficoltà di rielaborare ciò che ci ferisce, lasciandoci però la speranza di poter essere, un giorno, leggeri come le piume delle ali di un angelo.
Per chi volesse ammirare la qualità artistica di tutta la troupe di attori disabili del Teatro La Ribalta – Kunst der Vielfalt, essi saranno ancora a Lugano tra due giorni, mercoledì, alle 20.30 al Teatro Foce, con un loro altro spettacolo intitolato “Il ballo”. Altre informazioni sull’attività della compagnia, che risiede a Bolzano, sono invece reperibili sul sito internet www.teatrolaribalta.it.