Continuano gli appuntamenti con la Lettura manzoniana proposta dall’Istituto di Studi Italiani dell’Università della Svizzera italiana: domani sera, alle 18, presso l’Auditorio dell’Università, il professor Corrado Bologna presenterà due emblematiche figure del romanzo manzoniano, don Abbondio e fra Cristoforo.
Fin dalla prima apparizione, nell’alba radiosa del capitolo IV, fra Cristoforo (“portatore di Cristo”) rifulge come Uomo di Luce, Salvatore la cui epifania irrompe nell’opacità del mondo donando forza e calore, speranza e coraggio. Tuttavia «non era sempre stato così»: fra Cristoforo non è un personaggio semplice, lineare, come può dirsi invece di don Abbondio, il banale, vile deuteragonista sempre identico a sé stesso sulla scena tragicomica del romanzo. Questa dialettica ha una valenza perfino metafisica. I due personaggi, d’altra parte, non si incontrano mai, anche se i loro gesti intrecciano, da lontano, i principali fili della storia.
«L’indole» di fra Cristoforo è passionale, «onesta insieme e violenta»: già prima della conversione, quando era ancora un figlio di papà ricco e viziato, si imponeva come «un protettor degli oppressi, e un vendicatore de’ torti». I suoi occhi sono «due cavalli bizzarri»: per tutto il libro egli trattiene un’energia che, scatenatasi nell’omicidio giovanile da cui nasce la conversione, viene imbrigliata con polso fermo verso il bene. La prova più vistosa è nel celebre incontro con don Rodrigo: ripresa, d’intensa teatralità, del dialogo fra Don Giovanni e la Statua del Commendatore nell’opera di Mozart.
“Buoni non si nasce: si diventa”, potrebbe essere il suo motto. Quel coraggio di essere buoni che manca a don Abbondio, così come al suo segreto ispiratore Sancio Panza (lo intuì Luigi Pirandello in L’umorismo), è in fra Cristoforo, come nell’archetipo Don Chisciotte a cui Manzoni si ispira, emblema e forma di vita, gesto di nobiltà e sigillo di carattere eroico.