Un’America immaginata, sognata, poi visitata sul serio e riscoperta nei volti e nelle voci dei suoi protagonisti. L’interessamento di Giorgio Vasta per la “sua” America – tra cui quella raccontata questa mattina a Babel Festival – è frutto di un lungo processo, iniziato da bambino, quando ancora si giocava a indiani e cowboy, e poi maturata nel tempo, fino a una “famigliarità di sguardo”, come ci racconta. Alla fine, dovendo recarsi effettivamente oltreoceano per il suo romanzo, Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt/Quodlibet 2016) tutto questo gli ha dato l’impressione non di un “arrivo” ma di un “ritorno”. «Io in America, è come se ci fossi sempre stato. L’America, prima di essere un luogo reale, è un luogo della mente. È stata così tanto immaginata nel tempo, che per noi ha la stessa intellegibilità, la stessa riconoscibilità di quei luoghi che siamo realmente abituati a frequentare. Si può dire che, in fondo, in America ci siamo stati tutti», ci spiega.
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