In occasione della 31esima edizione di Castellinaria, ad essere trasmesso oggi al Festival internazionale del cinema di Bellinzona sono Gli invisibili di Claus Räfle. Ibrido tra film e documentario, tratta degli avvenimenti occorsi negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, a Berlino.
Il regista non dedica il suo film agli ebrei sterminati nei campi di concentramento, e nemmeno ai tedeschi responsabili di tale genocidio. Ci invita invece a riflettere su quegli ebrei – se ne contano circa 7000 nell’ottobre 1941 – che si sottrassero alle deportazioni nei campi di sterminio e, mediante i più vari e coraggiosi espedienti, si nascosero, procurandosi una nuova identità. Accomunati tutti da un comune grido – «Voglio vivere», afferma uno dei protagonisti – affrontano un futuro di privazioni, di fame, di costante terrore e di incertezza. Tra questi ebrei vi era chi si nascondeva, e che per paura, nei lunghi anni di guerra, non varcava la porta del rifugio che aveva trovato; ma vi era anche chi adottava vari mezzi per nascondersi tra la folla, col solo desiderio di diventare “invisibile” e di cercare così di condurre una vita normale, per quanto possibile, nella follia che imperversava nella Germania della seconda guerra mondiale.
“Invisibile” agli occhi dei soldati tedeschi si vuole rendere Hanny Lévy, una delle quattro protagoniste del film, la quale si tinge i capelli di biondo per non destare sospetti. Quello che in tempi di pace è un gesto di vanità, in quegli anni poteva valere la propria sopravvivenza. Lévy riesce così a confondersi tra la folla, e dopo anni di stenti, riesce finalmente a trovare in una lavoratrice di un cinema berlinese la sua salvatrice.
Ed è questo l’altro grande tema su cui riflette il film: la forza, e l’estremo coraggio di quei cittadini berlinesi che misero a repentaglio la propria vita e quella della propria famiglia, per difendere gli ebrei rimasti a Berlino. Sarà proprio un ufficiale nazista a salvare Ruth Arndt, giovane ragazza ebrea che lavorerà presso la sua famiglia in veste di domestica. Vi sono poi altri due “invisibili” Cioma Schönhaus e Eugene Friede. Il primo, non solo riesce a proteggere la propria vita, ma falsificando i passaporti degli ebrei perseguitati, riesce ad assegnargli una nuova identità e quindi a farli sfuggire alla Gestapo. Eugen Friede, come gli altri tre, è presto privato della sua giovinezza, e catapultato nella spaventosa realtà che lo circonda, si unisce al gruppo di resistenza di Hans Winkler, distribuendo volantini anti-governativi.
Nel frattempo si avvicina la fine della guerra. Il 6 marzo 1944 la US Army Air Force conduce il suo primo attacco aereo a Berlino. Nell’aprile del 1945 si susseguono bombardamenti e sparatorie. Si intravede la libertà, vera, per gli ebrei. Dei 7000 ebrei berlinesi nascosti, in città ne sopravvissero 1500. Arrivano i soldati russi, e paradossalmente, l’ebrea Hanni Lévy appare loro come un nemico, una tedesca, e non una vittima. A rischiare la loro vita – sempre perché non creduti ebrei – sono due ragazzi, nel finale del film. Un ufficiale russo sta per sparare ai due, sennonché prima di farlo sfida i due a cantare “Shemà Israel”, preghiera ebrea assai diffusa; ed è così che quello stesso ufficiale, che si scoprirà essere ebreo, resosi conto della sincerità dei due, abbassa la pistola e li abbraccia.
Carnefici e vittime. Claus Räfle ci invita a guardare oltre queste categorie. Ci presenta la storia di ebrei che da vittime si trasformarono in carnefici, facendo le spie per il governo tedesco (come Stella Goldschlag), ma mette anche l’accento su quei tedeschi, che – lungi da essere carnefici – aiutando gli ebrei, si dimostrano degli “eroi silenziosi” o “giusti tra le nazioni” – così vennero denominati in occasione del memoriale dell’Olocausto Israeliano, che li ha onorati.
Lucrezia Greppi