Persone e paesi

Grazie, “Sciur Maestru”!

Ci manca da 10 anni Angelo Frigerio, “la voce” dell’Ora della Terra

L’uomo della civiltà contadina che ha fatto da ponte tra il passato e la modernità

Angelo Frigerio fra i monti bleniesi

Angelo Frigerio fra i monti bleniesi. Servizio fotografico di Jo Locatelli: grazie agli scatti di questo storico reporter del GdP c’è l’abbondante documentazione che illustra i libri di Angelo Frigerio e scandisce molti momenti di vita del “Sciur Maestru”.

Il 7 di aprile saranno dieci anni da quando Angelo Frigerio ci ha lasciato. Mancavano 5 giorni al compimento dei suoi 95 anni. Era quella che si dice una bella età, a maggior ragione se raggiunta nelle invidiabili condizioni di lucidità, memoria, autonomia del “Sciur Maestru”, titolare storico della “cattedra del verde” nel Ticino con lezioni molto seguite anche oltre San Gottardo e in Italia. “Tempus fugit”, dicevano i latini e Angelo ci ha lasciato anche un film su cui riflettere con questo titolo: ambientato in Val Colla e nei dintorni di Lugano per la regia di Bruno Soldini. Sì, “il tempo vola” e ne abbiamo la misura davanti a questa ricorrenza. Con persistente malinconia e acuta nostalgia per la sua perdita.

Seminatore sulla facciata della “Strecia de la Mora”

Alla porta d’entrata di casa sua, in via “Strecia de la Mora” a Rovio, c’era un campanello che soffriva di solitudine, perché quasi nessuno se ne serviva. Da Angelo Frigerio bastava un “toc toc” o spesso nemmeno quello: si premeva la maniglia in ferro battuto e c’era lui ad accogliere. Una calda stretta di mano, il più delle volte un abbraccio e subito, dopo pochi passi, c’erano lì due poltrone dove si cominciava a parlare, non senza un buon bicchiere di “bianco” o un caffè, un benvenuto che “ul Sciur Maestru” amava accompagnare con una sigaretta. La chiamava scherzosamente la sua “medicina”. La conversazione spaziava su tutto e tutti, dal paese alle falde del Generoso al mondo. Con Angelo si poteva parlare di attualità e costume, di politica e sport, di religione e di comunicazione, fino alle trasmissioni che seguiva dalla TSI di Comano ai canali italiani, dove aveva familiarità quasi quotidiana con Geo e Gea. A ripensarci oggi, mi sorprendeva ogni volta su quanto era documentato, al plurale, perché gli piaceva avere diversità di approcci, appassionato al sapere. Era un uomo di mediazione, di conciliazione, per la saggezza che gli veniva dall’esperienza vissuta, per l’equilibrio che possedeva e gli capitava spesso di distribuire. Detestava l’animosità e più ancora la mancanza di rispetto, rammaricato di vederla crescere insieme alla rancorosità. Per indole era portato a pacificare e non a caso a lui si ricorreva in certi frangenti, riconosciuto “pontista” nelle spaccature di ogni genere. Una sua convinzione poggiava salda su un proverbio ben noto, quello secondo cui “si acchiappano più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”.

"Il seminatore", disegno di Angelo Frigerio

“Il seminatore”, disegno di Angelo Frigerio

Dai campi alla Radio, dai libri al cinema

Per usare una terminologia della modernità, Angelo – che aveva visto arrivare il primo veicolo a motore nel suo paese, con la gente che si nascondeva impaurita a quel rumore mai udito prima – è stato un protagonista “multitasking” in vistoso anticipo. Diplomatosi grazie alla provvidenziale spinta del coetaneo Edgardo Bernasconi, che aveva fatto pressione a lungo per avviarlo alla Magistrale, l’Angiulin ha poi brillato nelle sfide che affrontò: da segretario agricolo cantonale a giornalista, da “voce” inconfondibile per oltre mezzo secolo ai microfoni di Radio Monteceneri, poi RSI, alla politica, da scrittore a attore. Non si è fatto mancare proprio niente nel suo dedicarsi agli altri, ai ragazzi e adolescenti con la sezione scoutistica “Generoso”, poi sindaco di Rovio, quindi deputato fino alla presidenza del Gran Consiglio, ma pronto e disponibile anche a lavorare nel Consiglio parrocchiale di Rovio di cui fu operoso presidente. Istrionico al punto di suonare a orecchio anche l’armonium in parrocchia: e nella Messa solenne di una algida Epifania, celebrata dal giovane compaesano don Luigi Mazzetti, al momento della consacrazione, sfoderò dal suo repertorio nientemeno che “La carovana del Tawai”, più da balera che da liturgia. L’architetto Tita Carloni, pure di Rovio, amico di una vita, in una riuscita vignetta per il carnevale locale,– partendo da un piccolo fatto come il ritardo del parroco – immaginò un gruppetto di fedeli che proponeva “da ciamà ul Sciur Maestru a disü ‘l rósàri”.

La vita dell’Angiulin è stata un pentagono di luoghi, Rovio, Torino, Zurigo, Giubiasco e Chislerio in Valle Blenio. “Il primo salto – ricordava – fu dal mio paese a Torino, dai Salesiani, per imparare un mestiere. Due anni sono pochi, ma possono anche significare molto nella storia di una persona. Nella capitale piemontese mi cacciai nei guai per aver strappato un manifesto fascista. Amaro fu il mio rientro a casa, da dove ripartii per fare il muratore a Zurigo”. Frigerio sfoggiava bicipiti alla Peppone e aveva appetito di futuro: “A sevi un galupp”.

Il punto di svolta fu nel 1939, con il ritorno a Rovio, sul cantiere dell’Ala Materna che avrebbe accolto schiere di rifugiati di lì a poco, nella seconda guerra mondiale alle porte. Per Angelo, cemento di giorno e libri di sera: “Dovevamo arrangiarci, abbiamo imparato la vita, guadagnandocela a palmo a palmo”.

Frigerio mi richiamava alla mente Anteo, quel dio mitologico che più cadeva, più prendeva forza. Di bufere nella vita ha dovuto superarne parecchie, la perdita della moglie Laura, a 38 anni, con due figli da crescere, Mauro e Carlo. Poi, anche il figlio Mauro stroncato a 38 anni. Ma ogni volta, la Quercia resistette solida al vento, ai fulmini e alle tempeste, entrando nel cuore di tutti.

Giuseppe Zois e Angelo Frigerio

Giuseppe Zois e Angelo Frigerio

In quella stanza con vista su Ceresio e San Giorgio

Ad un certo punto del nostro percorso di amicizia – un grande dono che ha illuminato la mia vita per 30 anni e continua a farlo oggi da Lassù dove ora si trova – è scoccata la scintilla della nostra collaborazione scritta, tradottasi in libri (mezza dozzina) e in una rubrica sul giornale che faceva affluire ogni settimana decine di lettere. Molti lettori lo chiamavano “per sapere quando è ora di seminare nell’orto, quali trattamenti fare nella vigna contro la peronospora”. Mi risuona ancora nella memoria la sua voce inconfondibile, con quella “erre” che sfumava in “v” e gli conferiva quel tocco che fa tipo.

Non so quanti giorni – di mattino, di sera, di notte – abbiamo trascorso, lavorato, conversato, pranzato e cenato, spostandoci dalla cucina all’ultimo piano, con vista sul terminal del Ceresio e il San Giorgio sullo sfondo, dove davamo carta ai ricordi e al presente. Un anno prima di quel tristissimo 7 aprile 2015, in un amarcord di vita mi confidò il suo rammarico nei cambiamenti epocali vissuti: “Noi avevamo degli ideali e lottavamo per la loro affermazione. Oggi c’è in giro troppo carrierismo. La politica si è incattivita e ha perso la tensione etica che deve animarla. Effetto del populismo dilagante, del vituperio, con cui non si costruisce, ma si demolisce. Troppi tribuni si aggirano per l’Europa. Noi eravamo abituati a riconoscere il valore dell’avversario. Si stima sempre la persona portatrice di idee. Alfredo Giovannini, storico sindaco di Biasca, gran radicale, mi ripeteva il suo irrinunciabile credo: dobbiamo guardare l’uomo prima di tutto. Nella Commissione legislativa, allora, c’erano i sette migliori avvocati del cantone Ticino. E, per carità, mi fermo a questa costatazione”. Innegabile lo scollamento tra politica e cittadini. Angelo aveva la sua versione del perché: “La televisione si è appropriata dei dibattiti, ed era inevitabile, decretando però, di fatto, la fine dei comizi. Troppi oggi vanno in tv non avendo niente da dire: sentono il bisogno di andarci smaniosi di visibilità. Recandoci nei paesi e stando tra la gente, ci si confrontava, uomo con uomo e idea con idea, si faceva a botta e risposta, poi mangiavamo insieme pane e formaggio con un bicchiere di merlot”.

A sottolineatura di queste agrodolci riflessioni, Angelo aveva declamato un Trilussa d’annata ancor più attuale oggi, con certi dominatori della politica terracquea: “Incuriosita de sapé che c’era/ una Colomba scese in un pantano/ s’inzaccherò le penne e bonasera/. Un Rospo disse: – Commarella mia,/ vedo che, pure te, caschi ner fango…/ – Però nun ce rimango… -/ rispose la Colomba. E volò via”.

Dibattito per la presentazione del libro "L'ABC del Sciur Maestru" (2009, ed. Fontana), avvenuta nell'auditorium della scuola di Castel San Pietro, che è il Comune con la maggior superficie coltivata a vite del Ticino. Da sinistra: l'allora sindaco di Castel San Pietro, Lorenzo Bassi; don Sandro Vitalini, che definì Angelo Frigerio - seduto al suo fianco - "il socialista di Dio"; quindi accanto a Giuseppe Zois l'allora Consigliera di Stato, Patrizia Pesenti e l'indimenticato professore e municipale di Lugano, Giovanni Cansani, legato a Frigerio da una storica amicizia.

Dibattito per la presentazione del libro L’ABC del Sciur Maestru (2009, ed. Fontana), avvenuta nell’auditorium della scuola di Castel San Pietro, che è il Comune con la maggior superficie coltivata a vite del Ticino. Da sinistra: l’allora sindaco di Castel San Pietro, Lorenzo Bassi; don Sandro Vitalini, che definì Angelo Frigerio – seduto al suo fianco – “il socialista di Dio”; quindi, accanto a Giuseppe Zois l’allora Consigliera di Stato, Patrizia Pesenti e l’indimenticato professore e municipale di Lugano, Giovanni Cansani, legato a Frigerio da una storica amicizia.

Angelo era una delle ultime icone della nostra civiltà contadina, che lui ha saputo cantare in tutte le forme, facendola amare. Le nostre stagioni, senza il suo prezioso metro, non saranno più le stesse. Con la sua morte è venuto meno qualcosa che era natura. Da dov’è adesso, lui continuerà – con quel suo volto pieno di rughe, che erano la sua laurea in saggezza e maturità – a dispensarci i suoi utili consigli e il suo rassicurante sorriso. E a indicarci che occorre “voler bene alla vita”, titolo-suggello del nostro ultimo tratto di un fertile solco. La “strecia” che portava a casa sua oggi – per felice scelta del Comune – è diventata Via Angelo Frigerio. La memoria è salva.

Giuseppe Zois

Filetto rosso Osservatore

I libri di Angelo Frigerio

  • Le poesie dell’Ora della Terra commentate sul filo delle stagioni, Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, 1994
  • I giorni della Terra, Edizioni Giornale del Popolo, 1998
  • Erbe e piante amiche, Edizioni Giornale del Popolo, 1998
  • Una cattedra nel verde, Edizioni Giornale del Popolo, 2000
  • Il mio primo Novecento, con Giuseppe Zois, Fontana Edizioni, 2004
  • Finestra sulla vita con Giuseppe Zois, Fontana Edizioni, 2006
  • L’abc del Scior Maestru, con Giuseppe Zois, Fontana Edizioni, 2009
  • Voler bene alla vita, con Giuseppe Zois, Fontana Edizioni, 2010
  • Alla salute! Frutta e verdura per star bene, Ritter Edizioni, 2012
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