FIT Festival

I confini della libertà democratica

“Partiturazero” di Elena Boillat. ©Mjelma Shehu

Il Festival Internazionale del Teatro (e della scena contemporanea) che si appresta al debutto (4-13 ottobre, con un’anteprima dal 28 al 30 settembre), offrirà le sue proposte in diversi spazi luganesi con artisti provenienti da sette paesi: Bielorussia, Francia, Italia, Polonia, Serbia, Spagna, Svizzera. Nella sua 33esima edizione ha scelto un tema “politico” (ma cosa non lo è nell’esistenza di ogni individuo che è anche cittadino?). Quello della democrazia, quindi dell’esercizio e dell’affermazione necessari di libertà e diritti, ma declinato nei suoi aspetti più aperti, sia come fattore collettivo, sia come elemento che appartiene ad ogni essere umano, nella sua persona qualificante.

Nell’editoriale che apre il programma, la Direttrice artistica del FIT Festival, Paola Tripoli, sottolinea, tra l’altro: «La crisi della democrazia, brutale e violenta che si registra è impressionante. Sono cinque anni che il trend democratico del mondo è in declino, il periodo più lungo dall’inizio della terza ondata di democratizzazioni nel 1970. L’autoritarismo sta avanzando in ogni angolo della terra. (…) Davanti a questo scenario ho deciso di ripartire a percorrere una strada tortuosa ma necessaria. Quella dei diritti. Diritti acquisiti, ma mai per sempre. Interrogarmi sul posto degli esseri umani davanti allo sviluppo tecnologico. Sullo stato della terra sempre più martoriata e il potenziale di collasso globale nell’era dell’Antropocene. Comprendere come la complessità (a volte forse “eccessiva”) mette in difficoltà categorie acquisite. Sul rapporto tra corpo e protesta. Sulla vita segreta dei vecchi e delle loro storie d’amore. Sulla storia di alcune migliaia di esseri umani partiti dal loro paese con il sogno di una vita migliore. Ma anche, semplicemente, ma non semplificando, scelte in cui l’artista si interroga sul bambino che è stato e sull’adulto che è. La linea curatoriale è quindi volutamente espansa, volutamente difforme, e intende costruire un pensiero sulla necessità di sviluppare la capacità di orientarsi nella complessità del contemporaneo, praticando esercizi di libertà».

Dal canto suo, il Direttore artistico LAC, Carmelo Rifici, osservando che «la questione democratica è oggi quanto mai necessaria», rileva anche: «Se è vero che siamo troppo piccoli e non fondamentali per guidare le scelte della politica, diventa allora ancora più importante la nostra responsabilità nelle scelte di una programmazione seria, nella relazione con gli artisti e gli spettatori, per mantenere accesa, non tanto la speranza per un ritorno alla coscienza, ma almeno viva e presente la questione fondamentale che ci rende differenti dagli animali: la loro vita è data dalla sopravvivenza, la nostra sopravvivenza è data dai diritti insopprimibili per poter vivere. Sono i diritti acquisiti e non negoziabili che ci differenziano, diritti che non possiamo perdere». E sotto questo aspetto, egli pone l’accento, in particolare, su alcuni spettacoli, come «l’importante coproduzione internazionale del LAC, Bérénice diretta da Romeo Castellucci e interpretata da una magistrale Isabelle Huppert, dove il regista mostra la violenza endocrina, la crudeltà più feroce proprio lì dove il corpo sparisce e la parola paralizzante pare l’unico strumento di comunicazione e di persuasione. Tra le altre produzioni il lavoro che Carlotta Viscovo, insieme ad Angela Dematté hanno creato intorno alla figura di Camille Claudel, diviene simbolo incarnato del rapporto tra corpo e protesta, che svela il ruolo sempre politico dell’artista. In collaborazione con il festival, il debutto della giovane artista ticinese Elena Boillat, che in una felice ispirazione comune a questi spettacoli, sta lavorando sul rapporto corpo-voce, nel nobile tentativo di riscoprire linguaggi dai significati liberi dagli stereotipi della parola. In forte connessione con la Svizzera, LAC e FIT attraverso il progetto Extra Time plus, danno voce e visibilità ai giovani creatori provenienti da altri cantoni».

“Medea” di Elena Cotugno. ©Luca Del Pia

E ancora una volta emerge spiccatamente la creatività femminile come protagonista tematica e/o attoriale: Bérénice, appunto, Medea, Camille Claudel, la coreografa Elena Boillat, la polacca Gosia Wdowik che con She was a friend of someone else affronta la sparizione di diritti acquisiti: nel suo paese l’aborto è diventato illegale (e, aggiungiamo, basta vedere cosa sta succedendo in diversi stati degli USA). E donne sono presenti anche in altri lavori di “coppia” o collettivi.

La Medea di Elena Cotugno (Teatro dei Borgia) riscrive il mito greco alla luce della questione migratoria (una interpretazione non nuova) ma anche del fenomeno delle donne diventate schiave nel racket della prostituzione: vittime sempre dei medesimi processi: reclutamento, debito, ricatto.

Tra le altre proposte: La vie secrète des vieux di Mohamed El Khatib porta in scena un gruppo di persone anziane (tra i 76 e i 102 anni!) che parleranno di storie d’amore. L’autore ha raccolto testimonianze di persone dalle differenti provenienze e i loro racconti di “esperienze romantiche”, rompendo un tabù socialmente consolidato, sia a livello pubblico, sia a livello privato, familiare: fino a che età si ha il diritto di innamorarsi e di avere desideri sessuali?

Siamo in ambito tecnologico con Seer (performance di danza in prima svizzera) di Tamara Gvozdenovic che esplora la relazione tra esseri umani e il progresso cibernetico, potenza e grazia in un viaggio misterioso corpo umano e macchina. Anche la performance documentaria The Cloud di Arkadi Zaides (già ospite nel 2020 con Necropolis) porta una riflessione sulle nuove tecnologie (ultima frontiera anche scenica, evidentemente), tracciando la relazione tra naturale e artificiale ed evidenziando l’ambiguità dell’IA.

El Adaptador di Marco Berrettini è ancora espressione di una crisi tra confini contraddittori (che sembra un altro plausibile motivo conduttore di questo festival). Una sorta di corrida coreografata con l’alternativa Milena Keller, dove l’uomo bianco etero cisgender (ovvero coerente con il genere assegnato alla nascita) si sente fuori posto nella cultura e società occidentali, frustrato e disadattato. Con umorismo e derisione, il duo cerca attraverso danza, musica, schizzi e persino poesia sonora una via per oltrepassare il confine in bilico fra forze opposte (danze vegane che fanno guerra a quelle carnivore…, esemplificando…).

Oblio, memoria e morte, tra ritualità antiche e tempi moderni, sono al centro di Absent City, film live dalla città di Elefsina di Dimitris Kourtakis, tra telecamere e droni, un uomo e una donna percorrono strade opposte per affrontare eventi traumatici, lui cerca di dimenticare, lei di ricordare…

Con Wannabe di Kiyan Khoshoie entriamo nell’immaginario infantile del danzatore, nella sua cameretta di bambino arredata dalla passione per i video musicali su MTV e le boy band: cosa resta di tutto questo nell’adulto che è diventato?

“Lo specchio della regina” di Teatro la Ribalta. ©Vasco Dell’Oro

Ma certamente non va dimenticata la sezione concorso “YOUNG AND KIDS” dedicata alle giovani generazioni proposta al Teatro Foce, anche quest’anno, attraverso 5 spettacoli che adottano linguaggi fortemente contemporanei: Lo specchio della regina di Teatro La Ribalta, dai 10 anni, una versione trasgressiva, dove sia la protagonista, sia lo specchio sono stufi della ripetitività dei loro classici ruoli; Nuvole, a tratti prima assoluta della compagnia ticinese Teatro Danzabile, dai 5 anni, affronta il tema della diversità come fonte di ricchezza (non nuovo, il soggetto, ma necessario); Bestiarium della burattinaia Annina Mosimann, dai 6 anni, è un gioco non verbale, in cui è sfruttato il simbolismo e l’immaginario tipico dell’infanzia e di chi vuole in essa ritrovarsi. Non mancano i progetti per i piccolissimi: Soqquadro di Teatro del Piccione, dai 3 anni: se nella routine di coppia irrompe la meraviglia, l’insolito… Demetra/Olympus Kids della compagnia spagnola Agrupación Senõr Serrano (entrata riservata a solo bambini da 7 a 11 anni): l’anno scorso era stato apprezzato il Prometeo/Olympus Kids della trilogia (oltre Demetra, ne fa parte “Amazzoni”), qui il tema è ecologico, Demetra protegge la natura ma deve vedersela con chi la violenta. Gli interrogativi che lo spettacolo suscita vengono a coinvolgere in diretta i ragazzi del pubblico, chiamati ad intervenire, cosa giustifica lo sfruttamento della Terra e di risorse che non sono infinite? Le domande riguardano i boschi, la deforestazione in Amazzonia, i negozi d’abbigliamento a basso costo, i telefoni cellulari, lo sterminio di animali per fare gli hamburger del supermercato, insomma, tutto ciò che ci riguarda.

13 giorni, 22 repliche, 8 incontri con gli artisti, 2 talk di approfondimento e i vari progetti collaterali: la radio on the road Keep FIT with radio e le dirette del team giovani, il progetto editoriale Sguardi sul contemporaneo, l’iniziativa sociale del Biglietto Sospeso, il tandem intergenerazionale Restez FIT! e due workshop.

Programma e prenotazioni: info@fitfestival.ch; www.fitfestival.ch

Manuela Camponovo

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