Commento

I discorsi inascoltati di Matteotti contro la violenza

Contro ogni forma di violenza (Einaudi 2024) propone due discorsi di Giacomo Matteotti a cura di Davide Grippa. Si parte infatti dalla celebre mozione socialista “contro ogni forma di violenza”. A cento anni dalla scomparsa del politico veneto, il miglior modo di ricordarlo oggi è riproporre le sue idee e convinzioni. Eletto alla Camera dei deputati nel 1919, Matteotti ha denunciato sin da subito le violenze fasciste contro i contadini e i socialisti. Fu, infatti, tra i primi deputati a far conoscere la violenza al Parlamento. Grippa ricorda come egli svelò le connivenze tra fascisti e grandi proprietari terrieri che si servivano dello squadrismo, a suo dire, per ottenere vantaggi con la complicità di prefetti, magistratura, carabinieri. A farne le spese erano i lavoratori comuni. Matteotti prese la parola alla Camera il 31 gennaio 1921. Accusò il governo di Giovanni Giolitti di complicità con lo squadrismo.

Denunciò, tra tante interruzioni, le violenze fasciste documentando il terrore nero in Nord Italia. Attaccò la stampa compiacente. «Quando per contro avviene, e dolorosamente avviene, che un fascista o più fascisti rimangono feriti e uccisi, allora la stampa […] muta completamente il tono». Il secondo discorso è del 10 marzo 1921. Qui documentò gli ultimi fatti nei paesini di campagna, dove bande armate fasciste si presentavano di notte nelle case dei cittadini, li sequestravano, derubavano e uccidevano. «Nel cuore della notte […] arrivano i camion di fascisti nei paeselli, nelle campagne […]. Si sente l’ordine: circondate la casa. Sono venti, sono cento persone armate di fucili e di rivoltelle. […] Se non scendi ti bruciamo la casa, tua moglie, i tuoi figliuoli […]. Gli fanno passare le torture più inenarrabili, fingendo di ammazzarlo, di annegarlo […]. Quel disgraziato ritorna a casa, denunzia il fatto, e il brigadiere dei carabinieri lo arresta!».

Matteotti raccontò un sistema connivente rispetto alle violenze fasciste. «Noi continuiamo da mesi e mesi a dire nelle nostre adunanze che non bisogna accettare provocazioni, che anche la viltà è un dovere, un atto di eroismo». I socialisti non erano ben visti dalle classi borghesi. Essa temeva che la propaganda (anche di Matteotti) potesse fare proseliti tra i contadini. Scrive Crippa: «Contro i massimalisti e i comunisti, che propugnavano la violenza come strumento di lotta politica, Matteotti e i riformisti erano infatti per un socialismo “ricostruttore, pacificatore, realizzatore”. […] Abbandonati a se stessi […] i lavoratori sarebbero stati inevitabilmente esposti alla propaganda dei comunisti e dei massimalisti, i quali sostenevano che allo squadrismo fascista fosse necessario opporre la violenza del proletariato. Nello Stato, infatti, essi non vedevano altro che uno strumento di oppressione al servizio della classe borghese da abbattere con la rivoluzione».

Il governo concedeva alcune attenuanti allo squadrismo nero. A seguito dell’esecutivo Giolitti arrivò al governo Ivanoe Bonomi, che si rivelò inefficace nonostante il tentativo di pressione sui prefetti e sul ministero degli Interni. Matteotti denunciò il fatto che i carabinieri assistevano quasi sempre imperturbabili a bastonature e violenze. Poco o nulla si fece sotto il governo Bonomi. A questo punto, Matteotti aveva le armi spuntate e non poteva più fare nulla. Dopo il famoso ultimo discorso alla Camera, disse amaramente ai colleghi di preparare l’orazione funebre. Ad un secolo di distanza da quegli eventi si può affermare che dopo le elezioni politiche del 1924 e il discorso di Matteotti del 30 maggio, illegalità e violenza divennero qualcosa all’ordine del giorno. Non riguardava più soltanto i socialisti di Matteotti in particolare, ma tutto il paese. Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene rapito e assassinato dai fascisti.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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