La mancata ricezione di elementi utili a stabilire empatia (e di conseguenza emozioni) fra due persone può far precipitare nel cinismo. Si può correre il rischio di giudicare frettolosamente “distante” qualcuno (apparentemente) non in grado di trasmettere sensazioni. Ieri sera Boris Nikitin è salito sul palco del Teatro Foce e si è seduto con un plico di fogli in mano con Attempt of dying. Ma avrebbe potuto intitolarsi anche Vi racconto la storia di mio padre che è morto un paio di anni fa: ecco com’è andata nei minimi dettagli. Con le sue scarpe da ginnastica bianche che ogni tanto muoveva, calato in morbidi blue-jeans, indosso una maglietta immacolata e il solito paio di occhiali, il performer basilese ha letto la vicenda umana di un uomo, il papà appunto, che da un momento all’altro si è confrontato con la malattia. Una di quelle subdole, la SLA. Esordisce con un’auto-citazione: rilegge, Nikitin, una frase dello spettacolo con cui due anni fa si presentò al FIT festival: Hamlet, uno spettacolo spudorato, brillante nella regia e stravagante, commovente ed elegante al contempo nell’interpretazione e nella resa complessiva. Una frase legata al vero padre del protagonista di quel monologo; perché da un decennio Boris Nikitin premia le biografie dei suoi interpreti eleggendole a materia drammaturgica. Stavolta, ed è senz’altro da premiare il suo cambio di direzione, gli ingredienti utili alla narrazione li fornisce lui. Papà-malattia-EXIT. Uscita, uscire, sottrarsi alla vita. EXIT è il “pulsante” (l’organizzazione che ti permette di realizzare l’intento) di “divorziare” dalla vita attraverso un suicidio assistito. L’autore di Attempt of dying lo fa immaginando un originale parallelismo, ancora più intimamente autobiografico: tra il suo coming out di uomo gay non ancora ventenne e la scelta di sottrarsi alla vita del padre ammalato.
L’impianto narrativo non offre digressioni, anche se abbiamo apprezzato quei rarissimi istanti in cui Nikitin alzava lo sguardo dai fogli a sorpresa restando in silenzio e guardandosi intorno, momenti in cui sembrava concedere all’hic et nunc di accadere, qualcosa di autentico (tu chiamala se vuoi… realtà; quella vera però, non una simulazione). Ciò che potrebbe rendere interessante una messinscena (a dire il vero qui assente) simile è un suo possibile racconto a priori o a posteriori: narrare di qualcuno che monti sul palco e racconti una storia personale abbastanza commovente ma senza tentativi di incoraggiare una altrui partecipazione, senza trascendere nel vittimismo, senza elemosinare pietà fra il pubblico. Invece Nikitin fa un po’ di confusione e lascia andare lo spettacolo dove vuole, senza costringerlo in nessun argine formale e senza però nemmeno liberarlo dalle catene dell’inerzia. Se è vero che Attempt on Dyingè un’indagine utilissima sullo sguardo degli altri, sull’autocensura, sul superamento dei (propri) limiti della vergogna, del pudore e sulla convinzione che la vulnerabilità sia una dote rivoluzionaria (e non un punto a sfavore), è vero anche che è facile sentirsi in ostaggio di fronte a sessanta minuti come questi. Ostaggio di un regista che senza alcun dubbio conosce il potere della tematica “malattia” come pure quella “LGBT”. Una specie di involontario ricatto in cui se ti annoi la colpa è tua, perché allora fai parte di quella fetta di pubblico che non empatizza, non coglie il dolore tra le righe, non condivide il peso morale della storia. Un cinico. Se è vero che Nikitin in questa performance sale sul palco e inverte il punto di partenza, negoziando la sua biografia coraggiosamente, è faticoso non annoiarsi e non perdere il filo del discorso, che saltella senza un percorso estetico intuibile o rintracciabile. Dai dettagli quotidiani legati all’incedere della malattia si passa a considerazioni sociologiche (pur acute, talvolta) a carico del regista e drammaturgo, per poi riconquistare la sfera personale e tuffarsi in flashback arcobaleno che sarebbero molto meglio assimilabili all’interno di una “normale” serata pubblica dedicata alla malattia, ai sacrosanti diritti della comunità LGBT e a tutti gli altri temi cari a Nikitin.
Margherita Coldesina