Come nel precedente volume sulla geopolitica umana, anche in Sotto la pelle del mondo (Feltrinelli 2024) si ha l’impressione che Dario Fabbri monti in cattedra e utilizzi un linguaggio pomposo quanto fastidioso da dotto supponente per esprimere le sue idee. Ma a parte la riflessione stilistica – ampollosa, volutamente complicata per darsi un tono – l’analisi (non rivoluzionaria, visto che i lavori sull’argomento abbondano) regge. Il volume è una serie di identikit sulle nazioni che hanno un ruolo geopolitico eminente, all’interno di un mondo che oggi non riconosciamo più. Tra pandemia prima e guerre dopo, sussiste il terrore di scivolare verso l’apocalisse, nucleare o ambientale. I post-imperi sono in crisi, spiega Fabbri, ma giocano ruolo importante nella geopolitica contemporanea. I nemici dell’Occidente sono molti e «agiscono con smaccato piglio antieconomico». Da tempo «si è esaurito il complesso d’inferiorità verso l’Occidente». Fabbri analizza paese per paese nel gioco della geopolitica contemporanea.
Parte, sbeffeggiandolo, dall’egemone, gli Stati Uniti. Con tono accusatorio, ma con tesi non originalissime, spiega che «l’avvertita quiete del pianeta o di una regione è conseguenza della superiorità dell’egemone […]. La presa sull’Europa, luccicante perla dell’impero, rimane indiscussa». Ma «gli sfidanti degli americani se la passano peggio». Per la Cina la conquista di Taiwan resta – per ora – un proclama, «la controglobalizzazione (al massimo) un sinonimo di balcanizzazione». La Russia si sbraccia per sopravvivere come grande potenza. A livello interno, è vero che da anni gli americani abitano gli abissi della depressione – «fenomeno tipicamente imperiale». Un paese spaccato davanti al malessere. Un paese e una generazione infelice. Davvero gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra civile? Quel che per il momento è chiaro, seppure si tratti di un azzardo, è che «la finzione che voleva l’economia pozione per governare il mondo non tornerà».
La Cina, capitolo due del libro e seconda potenza economica mondiale, aspira all’egemonia futura, ma è frenata da significativi problemi demografici, strutturali, culturali e militari. Il suo invecchiamento demografico è drammatico. L’età media è quasi raddoppiata, da 19,8 anni nel 1974 a 38,5 oggi. Entro il 2035, un terzo della popolazione (400 milioni) supererà i 60 anni. Si confermerebbe così il detto: «La Cina invecchierà prima di diventare egemone». L’abolizione della politica del figlio unico è giunta tardi. E oggi Pechino cerca di compensare accelerando la costruzione navale militare. A ragione, Fabbri critica l’affermazione semplicistica sulla contesa sino-americana di Taiwan. Cinesi e americani si contendono Taiwan per il 60 per cento della produzione mondiale di semiconduttori. Ma questa ossessione tecnologica è vista come un modo superficiale di analizzare la situazione. In realtà, sottolinea l’autore, Taiwan è sempre stata oggetto di contesa geopolitica – e l’autore ne traccia brevemente la storia.
La Russia. Domanda fuori contesto, ma pertinente, da parte di Fabbri: perché i russi non si ribellano? Semplice, spiega: «le ambizioni dei russi non coincidono con le nostre […]. Pretendiamo di valutare i russi tramite categorie che funzionano soltanto qui». E poi: «I russi sono russi. E noi non ne maneggiamo il destino». Storicamente, l’avvicinamento dei paesi limitrofi agli Stati Uniti per ottenere protezione […] è stato interpretato dal Cremlino come un atto di estremo tradimento. Mosca considera cruciali le zone tampone per la propria sicurezza nazionale. Ciononostante, la guerra in Ucraina ha prodotto effetti opposti: ha allargato la NATO, intensificato il patriottismo ucraino e portato la presenza americana più vicino ai confini. Ma la conseguenza più grave è che la Russia si è rannicchiata in posizione di subordinazione alla Cina. Per Mosca, è umiliante questa metamorfosi da superpotenza a vassallo di Pechino.
L’India è considerata una potenza emergente destinata a diventare una superpotenza. Si mostra audace in vari contesti. Nei fatti, partecipa al contenimento navale della Cina, sostiene la Russia in guerra, ignora le richieste americane di allineamento, attrae le nazioni non occidentali e fa attendere i britannici. E poi, coltiva relazioni con Israele, possiede armi nucleari, ha realizzato missioni lunari. Tuttavia, non è né una nazione omogenea né un impero classico. Si tratta di un mosaico di popoli, lingue e religioni. Fabbri interpreta l’aspirazione indiana alla superpotenza come un’“esuberanza adolescenziale”. Oggi, l’India è conscia della sua potenziale valenza geopolitica. Pertanto, rifiuta un ruolo secondario e ambisce a una posizione di primo piano globale. Questa ambizione, secondo l’autore, potrebbe esacerbare i problemi che l’India spera di risolvere con la sua ascesa, portando potenzialmente all’autodistruzione. Fabbri considera questo scenario plausibile – anche se è davvero troppo presto per dirlo.
Si passa poi al Medio Oriente, evidenziando la contesa tra Iran e Israele per il dominio regionale. Riguardo l’Iran, menziona le proteste del 2022, guidate da giovani con una visione laica più che occidentale. La maggioranza della popolazione, tuttavia, è rimasta in silenzio, indifferente alla rivolta e contraria all’importazione della democrazia. Fabbri elenca gli obiettivi dell’Iran su scala geopolitica. 1) Isolare Israele a livello internazionale. 2) Sottrarre alla Turchia il ruolo di guida panislamica. 3) Forzare le monarchie del Golfo ad accettare le sue richieste. Israele, da parte sua, cerca di mantenere la sua posizione di potenza regionale, l’unica a possedere armi nucleari. Ma gli eventi di Gaza ne hanno compromesso l’immagine. Tuttavia, il piano di Hamas sembra essere fallito: nonostante la devastazione di Gaza, i palestinesi in Cisgiordania non hanno avviato una nuova Intifada. E gli Accordi di Abramo non sono toccati.
Fabbri definisce la Turchia un impero per volontà popolare. L’ascesa dell’URSS e il suo dominio sull’Asia turcofona la spinsero verso gli Stati Uniti, ma il paese è sempre stato ambiguo. Poi un salto in Europa. Fabbri insiste che la Germania non è mai stata una vera nazione unita. La Repubblica Federale fu creata dagli americani per i tedeschi occidentali, mentre quella Democratica fu affidata dai sovietici ai prussiani orientali. Per sopravvivere, la Germania ha dunque implementato un sistema di welfare esteso, finanziato dal surplus commerciale. Ma comunque, l’integrazione dei tedeschi orientali è stata meno efficace. La Germania emerge come la grande perdente del conflitto ucraino, avendo basato il suo modello economico sul gas russo – anche se nel 2023, l’import di gas è sceso dal 55 al 9 per cento. Si parla di un possibile riarmo, ma la società è divisa. E l’obiettivo del 2 per cento del PIL è lontano.
Nonostante le turbolenze della Brexit, il Regno Unito mantiene una posizione di rilievo. La forza della City si basa non solo sulla deregolamentazione, ma anche sulla percezione di stabilità del paese. Passando al Messico, Fabbri ironizza sulla visione comune che lo dipinge come uno stato sull’orlo del collasso. In realtà, rappresenta una sfida significativa per gli Stati Uniti via terra. Il paese ha aumentato la sua produzione industriale e le esportazioni verso Nord. Contemporaneamente, le aziende statunitensi hanno beneficiato della manodopera messicana e degli incentivi fiscali, creando un’interdipendenza economica tra i due paesi. E l’Italia? «Manca degli strumenti necessari a capire il pianeta, il nostro tempo». «Siamo l’unico paese al mondo che, con percentuali da plebiscito, comunica di sognare la pace incondizionata, senza indagare a quale costo, a danno di chi, su quali confini, con quali vincitori e vinti. Pace, punto». Nulla da obiettare.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Come nel precedente volume sulla geopolitica umana, anche in Sotto la pelle del mondo (Feltrinelli 2024) si ha l’impressione che Dario Fabbri monti in cattedra e utilizzi un linguaggio pomposo quanto fastidioso da dotto supponente per esprimere le sue idee. Ma a parte la riflessione stilistica – ampollosa, volutamente complicata per darsi un tono – l’analisi (non rivoluzionaria, visto che i lavori sull’argomento abbondano) regge. Il volume è una serie di identikit sulle nazioni che hanno un ruolo geopolitico eminente, all’interno di un mondo che oggi non riconosciamo più. Tra pandemia prima e guerre dopo, sussiste il terrore di scivolare verso l’apocalisse, nucleare o ambientale. I post-imperi sono in crisi, spiega Fabbri, ma giocano ruolo importante nella geopolitica contemporanea. I nemici dell’Occidente sono molti e «agiscono con smaccato piglio antieconomico». Da tempo «si è esaurito il complesso d’inferiorità verso l’Occidente». Fabbri analizza paese per paese nel gioco della geopolitica contemporanea.
Parte, sbeffeggiandolo, dall’egemone, gli Stati Uniti. Con tono accusatorio, ma con tesi non originalissime, spiega che «l’avvertita quiete del pianeta o di una regione è conseguenza della superiorità dell’egemone […]. La presa sull’Europa, luccicante perla dell’impero, rimane indiscussa». Ma «gli sfidanti degli americani se la passano peggio». Per la Cina la conquista di Taiwan resta – per ora – un proclama, «la controglobalizzazione (al massimo) un sinonimo di balcanizzazione». La Russia si sbraccia per sopravvivere come grande potenza. A livello interno, è vero che da anni gli americani abitano gli abissi della depressione – «fenomeno tipicamente imperiale». Un paese spaccato davanti al malessere. Un paese e una generazione infelice. Davvero gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra civile? Quel che per il momento è chiaro, seppure si tratti di un azzardo, è che «la finzione che voleva l’economia pozione per governare il mondo non tornerà».
La Cina, capitolo due del libro e seconda potenza economica mondiale, aspira all’egemonia futura, ma è frenata da significativi problemi demografici, strutturali, culturali e militari. Il suo invecchiamento demografico è drammatico. L’età media è quasi raddoppiata, da 19,8 anni nel 1974 a 38,5 oggi. Entro il 2035, un terzo della popolazione (400 milioni) supererà i 60 anni. Si confermerebbe così il detto: «La Cina invecchierà prima di diventare egemone». L’abolizione della politica del figlio unico è giunta tardi. E oggi Pechino cerca di compensare accelerando la costruzione navale militare. A ragione, Fabbri critica l’affermazione semplicistica sulla contesa sino-americana di Taiwan. Cinesi e americani si contendono Taiwan per il 60 per cento della produzione mondiale di semiconduttori. Ma questa ossessione tecnologica è vista come un modo superficiale di analizzare la situazione. In realtà, sottolinea l’autore, Taiwan è sempre stata oggetto di contesa geopolitica – e l’autore ne traccia brevemente la storia.
La Russia. Domanda fuori contesto, ma pertinente, da parte di Fabbri: perché i russi non si ribellano? Semplice, spiega: «le ambizioni dei russi non coincidono con le nostre […]. Pretendiamo di valutare i russi tramite categorie che funzionano soltanto qui». E poi: «I russi sono russi. E noi non ne maneggiamo il destino». Storicamente, l’avvicinamento dei paesi limitrofi agli Stati Uniti per ottenere protezione […] è stato interpretato dal Cremlino come un atto di estremo tradimento. Mosca considera cruciali le zone tampone per la propria sicurezza nazionale. Ciononostante, la guerra in Ucraina ha prodotto effetti opposti: ha allargato la NATO, intensificato il patriottismo ucraino e portato la presenza americana più vicino ai confini. Ma la conseguenza più grave è che la Russia si è rannicchiata in posizione di subordinazione alla Cina. Per Mosca, è umiliante questa metamorfosi da superpotenza a vassallo di Pechino.
L’India è considerata una potenza emergente destinata a diventare una superpotenza. Si mostra audace in vari contesti. Nei fatti, partecipa al contenimento navale della Cina, sostiene la Russia in guerra, ignora le richieste americane di allineamento, attrae le nazioni non occidentali e fa attendere i britannici. E poi, coltiva relazioni con Israele, possiede armi nucleari, ha realizzato missioni lunari. Tuttavia, non è né una nazione omogenea né un impero classico. Si tratta di un mosaico di popoli, lingue e religioni. Fabbri interpreta l’aspirazione indiana alla superpotenza come un’“esuberanza adolescenziale”. Oggi, l’India è conscia della sua potenziale valenza geopolitica. Pertanto, rifiuta un ruolo secondario e ambisce a una posizione di primo piano globale. Questa ambizione, secondo l’autore, potrebbe esacerbare i problemi che l’India spera di risolvere con la sua ascesa, portando potenzialmente all’autodistruzione. Fabbri considera questo scenario plausibile – anche se è davvero troppo presto per dirlo.
Si passa poi al Medio Oriente, evidenziando la contesa tra Iran e Israele per il dominio regionale. Riguardo l’Iran, menziona le proteste del 2022, guidate da giovani con una visione laica più che occidentale. La maggioranza della popolazione, tuttavia, è rimasta in silenzio, indifferente alla rivolta e contraria all’importazione della democrazia. Fabbri elenca gli obiettivi dell’Iran su scala geopolitica. 1) Isolare Israele a livello internazionale. 2) Sottrarre alla Turchia il ruolo di guida panislamica. 3) Forzare le monarchie del Golfo ad accettare le sue richieste. Israele, da parte sua, cerca di mantenere la sua posizione di potenza regionale, l’unica a possedere armi nucleari. Ma gli eventi di Gaza ne hanno compromesso l’immagine. Tuttavia, il piano di Hamas sembra essere fallito: nonostante la devastazione di Gaza, i palestinesi in Cisgiordania non hanno avviato una nuova Intifada. E gli Accordi di Abramo non sono toccati.
Fabbri definisce la Turchia un impero per volontà popolare. L’ascesa dell’URSS e il suo dominio sull’Asia turcofona la spinsero verso gli Stati Uniti, ma il paese è sempre stato ambiguo. Poi un salto in Europa. Fabbri insiste che la Germania non è mai stata una vera nazione unita. La Repubblica Federale fu creata dagli americani per i tedeschi occidentali, mentre quella Democratica fu affidata dai sovietici ai prussiani orientali. Per sopravvivere, la Germania ha dunque implementato un sistema di welfare esteso, finanziato dal surplus commerciale. Ma comunque, l’integrazione dei tedeschi orientali è stata meno efficace. La Germania emerge come la grande perdente del conflitto ucraino, avendo basato il suo modello economico sul gas russo – anche se nel 2023, l’import di gas è sceso dal 55 al 9 per cento. Si parla di un possibile riarmo, ma la società è divisa. E l’obiettivo del 2 per cento del PIL è lontano.
Nonostante le turbolenze della Brexit, il Regno Unito mantiene una posizione di rilievo. La forza della City si basa non solo sulla deregolamentazione, ma anche sulla percezione di stabilità del paese. Passando al Messico, Fabbri ironizza sulla visione comune che lo dipinge come uno stato sull’orlo del collasso. In realtà, rappresenta una sfida significativa per gli Stati Uniti via terra. Il paese ha aumentato la sua produzione industriale e le esportazioni verso Nord. Contemporaneamente, le aziende statunitensi hanno beneficiato della manodopera messicana e degli incentivi fiscali, creando un’interdipendenza economica tra i due paesi. E l’Italia? «Manca degli strumenti necessari a capire il pianeta, il nostro tempo». «Siamo l’unico paese al mondo che, con percentuali da plebiscito, comunica di sognare la pace incondizionata, senza indagare a quale costo, a danno di chi, su quali confini, con quali vincitori e vinti. Pace, punto». Nulla da obiettare.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com