Commento

Il carteggio Kafka-Brod è un’opera letteraria

Oltre quattrocento pagine l’epistolario che va dal 1904 al 1924, Un altro scrivere (Neri Pozza 2024) tra Franz Kafka e Max Brod. Un’edizione arricchita da una voluminosa introduzione e note a piè di pagina. Il volume si legge in un soffio per gli appassionati che si tuffano nel mondo della corrispondenza tra il più grande narratore del Novecento e il suo benefattore che ne salvò l’opera. «Io sono incomprensibile a Max e lì dove gli risulto comprensibile, si sbaglia». Scriveva così in una lettera (20 aprile 1914) a Felice Bauer. I due si erano conosciuti in occasione di una conferenza su Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche tenuta dall’appena il diciottenne Brod nel 1902. Brod veniva da una famiglia alto-borghese. Studiò il pianoforte ed era socialmente spigliato, affascinato dallo stile ampolloso del tempo a Praga. Protagonista della scena letteraria della città tra romanzi e racconti, poemi e drammi.

L’epistolario affronta molte tematiche. Si inizia dall’ebraismo e dal sionismo. Brod aveva risposto al richiamo di Martin Buber e del suo sionismo culturale. Si oppose a Karl Kraus, ebreo antisionista, quasi a confermare la disperazione degli scrittori tedeschi di origine ebraica nell’Impero asburgico. In Brod la lettera è un’espressione immediata e personale dello stato d’animo. Non ha pretese letterarie. Discorso antitetico per Kafka che d’altra parte sperimentava l’inconciliabilità tra vita e letteratura. Non mancano le questioni legate alla sessualità dello scrittore praghese. Nonché l’io e l’apertura al mondo esterno. Per Kafka la dimensione erotica viene relegata essenzialmente all’immaginazione e alla parola scritta. La questione dei rapporti con l’altro sesso era uno dei leitmotiv degli ultimi anni del carteggio, quando Brod vide il suo matrimonio con Elsa Taussig, sposata nel 1913, sempre più come un peso. È più Brod ad esaminare la questione femminile.

In una delle ultime lettere (14 settembre 1922) affronta la questione della paura (seguendo la dottrina freudiana semplificata: «paura = sessualità repressa»). «Tu rifugi le donne, cerchi di vivere senza loro. […] Questo si traduce poi in […] estremi disagi […]. Forse che tutta la saggezza del vivere consiste nel non pensare fino in fondo nel non essere coerenti nel giostrarsi tra la paura delle donne e la perdizione nelle donne, nel fermarsi al momento giusto quando la linea retta dello sviluppo ti porterebbe alla follia?». Nelle prime lettere è chiaro come per Kafka ci sia la necessità di preservare la propria individualità rispetto all’indole vulcanica dell’amico. Nell’epistolario compaiono tantissime figure. Si parte da Alfred Löwy (zio materno direttore di una ferrovia spagnola). Poi Ewald Přibram, compagno di liceo di Kafka, alcuni tratti del quale sono riconoscibili dell’antagonista di “Beschreibung eines Kampfes” (1936). Ma anche Otto Kafka, cugino del Paraguay.

Gli amici Oskar Pollak, Oskar Baum, Otto Pick (importante mediatore della cultura ceca e tedesca), Felix Weltsch (che poi migrò in Palestina), Ernst Weiss (che gli consigliò sempre di non contrarre il matrimonio con Bauer). Ma anche Berta Fanta, al cui circolo letterario partecipavano anche i fisici Albert Einstein e Philipp Frank, il matematico Gerhard Kowaleski e il filosofo Christian von Ehrenfels. Oggetto delle conversazioni con Brod anche il pittore Willi Nowak, il compositore Bedřich Smetana, il drammaturgo August Strindberg. Dunque, i pareri sugli scrittori. Wolfgang Goethe su tutti. Ma anche i contemporanei Thomas Mann e Knut Hamsun (uno degli scrittori preferiti di Kafka insieme con Gustave Flaubert, con la cui nipote, Caroline Commanville, Brod era in contatto). Arthur Schnitzler e Paul Kornfeld. Il critico Rudolf Fuchs, i poeti cechi Hugo Salus e Jaroslav Vrchlický, il giornalista Paul Kisch (fratello del più famoso Egon Erwin Kisch).

Il critico letterario Frantisek Xavier Šalda. Ma anche gli scrittori di lingua tedesca Albert Ehrenstein, Robert Musil, Walter Hasenclever e Camill Hoffmann, Ludwig Winder. Tra gli argomenti delle lettere, i caffè letterari (l’Arco, il Louvre, il Montmartre), i sanatori in Slovacchia e Slesia. Ma anche una serie di riviste di arte, cultura e letteratura. Ad esempio, Der Amethyst (a cui Kafka e Brod erano abbonati in comune), Bohemia (che pubblicò uno dei primi interventi di Kafka, il 29 settembre 1909 (“Die Aeroplane in Brescia”), Hyperion (che pubblicò i primi lavori tra il 1908 e il 1909), la Neue Rundschau (che Kafka leggeva), il Prager Tagblatt, Die Aktion (curata da Franz Pfemfert), il Vossische Zeitung (fondato nel 1617 e chiuso nel 1934 dai nazisti). Il lavoro (Assicurazioni Generali) e le donne di Kafka (tra cui Hansi Julie Szokoll, ventiduenne con cui Kafka ebbe un rapporto di qualche mese).

Poi il vegetarianismo, l’ebraismo, il matrimonio («l’idea di un viaggio di nozze mi fa orrore»), la tubercolosi (di cui all’inizio erano a conoscenza solo Brod, Felice e Ottla: «sono giunto all’idea che la tubercolosi […] non è una malattia particolare […], ma soltanto un potenziamento del germe generale della morte»). Inevitabile menzionare Milena Jesenská, che Kafka aveva conosciuto a Vienna del 1919, dopo il matrimonio di lei con Ernst Pollak. «Lei è un fuoco vivo, come io non ne ho ancora mai visti […]. Per di più estremamente delicata, coraggiosa, intelligente» (6 agosto 1922), scrisse a Brod. «Il pensiero di andarmene via da lei è proprio ciò che mi rende triste» (ibid.). Non mancano dimostrazioni di stima per Brod («un vero poeta», 7 giugno 1906), che ricambiò citandolo su Die Gegenwart (9 febbraio 1907) in occasione della recensione di Der dunkle Weg di Franz Blei.

Qui Brod elogiò lo scrittore-provetto Kafka (che allora non aveva ancora pubblicato nulla) paragonandone lo stile a Heinrich Mann, Frank Wedekind e Gustav Meyrink. E poi: «Tanta fortuna per la tua attività di scrittore, carissimo Max, per amor di noi tutti» (20 aprile 1910). «Il mio amore nei tuoi confronti è più grande di me e sono io a vivere in esso assai più di quanto esso non viva in me» (27 maggio 1910). «Siamo abbastanza vicini da poter scrutare a fondo l’uno nell’opinione dell’altro» (22 luglio 1912). Alle volte Brod (la cui corrispondenza è esigua e marginale in questa raccolta) rimprovera a Kafka di non avergli scritto nulla di lui, ma di aver elaborato solo su questioni letterarie. Negli ultimi tre-quattro anni la corrispondenza tra i due si fa più fitta. Kafka conosce il suo destino. Brod cerca di fare di tutto per stargli vicino.

«Tu dovresti essere nutrito anche contro la tua volontà. Franz, stavolta devi proprio diventare grasso» (6 gennaio 1921). Ma nell’epistolario si riscontrano anche gli elementi poetici e tipici, ma anche paradossali, di Kafka. «Auguro alla tua malattia tutto il male», scrisse Kafka (1906). «Anche io preferirei non avere nulla che fare con me stesso» (1907). «Almeno tu hai il tuo romanzo sullo scrittoio e lavori» (1909). «Domani mi regalo una lavanda gastrica, ho la sensazione che ne usciranno cose ributtanti» (1910). «Mi manca qualsiasi talento organizzativo» (1912). «Il bisogno di stare solo è un bisogno autonomo, sono assetato di solitudine» (1913). «Meraviglioso quando si raggiunge l’accordo con un animale» (1917). “Solitudine” è una parola chiave in Kafka. «In fondo la solitudine è pure la mia unica meta, la mia più grande attrattiva, la mia possibilità» (1922). Molti degli scritti raccolti sono bigliettini, cartoline, messaggi di posta pneumatica.

Ogni scritto reca il formato, il timbro postale e un’accurata revisione di luogo e data. Interessanti anche i luoghi delle lettere. Triesh, dove Kafka andava dallo zio Siegfried Löwy, il medico di campagna. Zürau, dove stava dalla sorella, Ottilie David e dove leggeva Søren Kierkegaard. Poi Friedland: «Il castello è pieno zeppo di edera»; ed è da questo castello trarrà ispirazione per l’omonimo romanzo. Dresda, dove «visiterò il giardino zoologico nel quale sarei da rinchiudere»). Venezia («Com’è bella, e come la si sottovaluta». Le terme di Marienbad (in vacanza: «felicità per il congedo dall’ufficio, mente eccezionalmente libera») e Merano (alla pensione Ottoburg). Sul Baltico, a Müritz, conobbe Dora Diamant. A Tatranské Matliare conobbe il dottor Robert Klopstock, che lo assistette fino alla morte. Quindi Berlino: ottobre 1923, «nell’ultimissimo periodo i fantasmi notturni mi hanno rintracciato». Gli ultimi anni sono gli anni della consapevolezza letteraria.

Proprio allora si infittiscono le opinioni sulla letteratura: «Ma uno scrittore che non scrive è un’assurdità che provoca la follia […]. Lo scrivere è un dolce, meraviglioso, compenso, ma per cosa?» (5 luglio 1922). E ancora: «Non mi sono riscattato attraverso lo scrivere. Durante tutta la mia vita sono morto e ora morirò davvero. La mia vita era più dolce di quella degli altri, la mia morte sarà tanto più spaventosa. Lo scrittore in me naturalmente morirà subito, poiché una tale figura non ha terreno […]. Non posso più continuare a vivere, poiché non ho vissuto, sono rimasto argilla, la scintilla non l’ho trasformata in fuoco, ma utilizzata solo per l’illuminazione del mio cadavere» (ibid.). Eppure, per sua ammissione, l’ultimo periodo – tra le lettere a Milena, la fine dell’ambiguità con Felice e i progetti con Dora – è stato il più felice dell’esistenza di Kafka.

«Se avessi tre desideri a disposizione […] mi augurerei: guarigione sommaria […], poi un paese straniero del sud […] e un piccolo mestiere» (1921). «Tutto, dolore e vergogna, me li procuro evidentemente da solo» (14 aprile 1921). In un bigliettino del 1921, Kafka chiedeva a Brod: «Carissimo Max, la mia ultima preghiera. Tutto quello che si trova nel mio lascito […], diari, manoscritti, lettere, di altri e mie, disegni, ecc. brucialo interamente e senza leggerlo, come anche tutti gli scritti e i disegni che tu, o altri a cui tuo dovessi chiederlo a nome mio, possedesse. Chi non voglia consegnarti delle lettere, dovrebbe almeno impegnarsi a bruciale di persona». Era un testamento, che l’amico di penna non eseguì. È proprio Kafka che offre una degna conclusione di questa raccolta epistolare. «Il bello di queste lettere è che, giunte a conclusione, non sono più vere dall’inizio in poi» (14 novembre 1912).

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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