Alla fine di ogni cantica della Commedia, Dante appone la sua firma in modo del tutto originale, costruendo un’echeggiante scia luminosa con la stessa parola: «E quindi uscimmo a riveder le stelle» / «Puro e disposto a salire a le stelle» / «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Non è stato difficile, dunque, per gli studiosi gravitanti attorno al Planetario di Milano cogliere il legame tra l’astronomia e questi versi per allestire una conferenza tutta a tema dantesco: l’Officina del Planetario, ovvero l’associazione che raccoglie esperti di formazione tecnico-scientifica e umanistica incaricati di gestire la programmazione, propone infatti periodicamente un viaggio attraverso il cielo di Dante.
Per lasciarsi trasportare in questa traversata condotta dalla voce di Monica Aimone, laureata in lettere moderne e astronomia, nella serata di venerdì scorso gli spettatori hanno occupato ogni posto a sedere disponibile sotto la cupola stellata di Corso Venezia. Dopo una breve introduzione su come funziona la meravigliosa proiezione della macchina che dà nome al luogo stesso, il sole è calato in fretta attraverso il reticolo buio del cielo finto e i nostri occhi si sono posati su una visione – letteralmente – celestiale: tutti i corpi celesti visti senza alcun tipo di inquinamento luminoso. Ma non si trattava del cielo di una notte qualsiasi, bensì di quella dell’8 aprile 2025, per poterci immedesimare meglio nei passi del sommo poeta che proprio l’8 aprile del 1300 (data in realtà ancora discussa) dovette mettersi in cammino verso la salvezza. Dante, uomo del suo tempo, com’è stato definito dallo storico Alessandro Barbero, conosceva bene la scienza astronomica di quegli anni – molto lontana dalla nostra – e ne offre la prova in diverse occasioni della sua opera.
Nel corso della conferenza, i versi della Divina Commedia hanno guidato l’osservazione della volta celeste, a partire dall’assunto preliminare esposto nel canto XIV del Purgatorio: «Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira / mostrandovi le sue bellezze etterne / e l’occhio vostro pur a terra mira / onde vi batte chi tutto discerne», parole pronunciate da Virgilio riferendosi ai dannati puniti per la loro invidia e invitandoli a guardare il cielo. L’astronomia, infatti, la contemplazione di quelle bellezze eterne, assurge a mezzo privilegiato per condurre l’uomo alla sua salvezza: proprio come se scalasse le guglie di una cattedrale gotica, avvicinandosi alle stelle, l’anima può tendere a Dio. Con delle ricostruzioni tridimensionali proiettate direttamente sulla cupola, la dottoressa Aimone ha ben chiarito i concetti astrologici utilizzati da Dante per costruire la sua griglia cosmologica.
Procedendo poi con il viaggio, è stato sottolineato come la privazione del cielo stesso nel primo regno sia la punizione peggiore per i dannati, dal momento che rappresenta la completa negazione della salvezza: l’Inferno, com’è ben noto, è collocato sottoterra. Prima di addentrarvisi, è fondamentale per Dante scandire i passaggi temporali attraverso l’astronomia e lo fa con assoluta precisione: nel primo canto ci informa che siamo al principio del mattino e il sole è già entrato in Ariete, la condizione di inizio primavera (come al momento della Creazione). Chiama in aiuto le costellazioni anche nel canto XI dell’Inferno, dove Virgilio precisa che ora i Pesci sono all’orizzonte e il Grande Carro è disteso nel cielo a nord-ovest, verso la direzione del maestrale («Ma seguimi oramai che ‘l gir mi piace / chè i Pesci guizzan su per l’orizzonta / e ‘l Carro tutto sovra ‘l Coro giace»).
Grazie al planetario in mezzo a noi è stato possibile avvicinarsi ancora di più all’osservazione compiuta da Dante. Considerando che a Firenze la latitudine è prossima ai 44 gradi e che Dante pone la montagna del Purgatorio agli antipodi di Gerusalemme, la proiezione della cupola è stata orientata secondo questi dati, ritagliandoci così esattamente la porzione di cielo cui fa riferimento il poeta. Nel canto III del Purgatorio, infatti, viene fornita l’ora simultanea di tre meridiani fondamentali: quello di Gerusalemme, dov’è il tramonto; quello del Gange, dov’è ormai mezzanotte; infine, quello del Purgatorio stesso dove sta sorgendo l’alba. Questa cantica è ricca di spunti e riferimenti di orientamento, il cui interesse è notevole, dato che Dante non ha mai fatto esperienza diretta dell’emisfero sud, ma si serve soltanto della sua profonda capacità di comprensione della geografia astronomica.
I versi dell’ultima cantica hanno infine dominato la conclusione della conferenza, che si è chiusa proprio tra i cieli tolemaici e l’Empireo che costituiscono il Paradiso. Naturalmente, nell’ultimo regno esplorato da Dante i riferimenti astronomici abbondano e ogni parola sembra riflettere l’aura celestiale. L’immagine conclusiva lasciata agli spettatori è stata quella di Dante nel canto XXII, finalmente giunto ad attraversare la sua stessa costellazione, quella dei Gemelli. Poco prima, però, viene invitato da Beatrice a guardare in basso, verso ciò che sta lasciando alle sue spalle e la Terra non appare altro che una misera aiuola che rende gli uomini tanto feroci («l’aiuola che ci fa tanto feroci, / volgendom’io con li eterni Gemelli, / tutta m’apparve da’ colli a le foci. / Poscia rivolsi li occhi a li occhi belli»).
In attesa che torni nei mesi invernali qualche nuova data per entrare al Planetario a riveder le stelle di Dante, l’Officina propone numerose osservazioni guidate e altri appuntamenti letterari, tra cui a breve uno decisamente ben lontano dal poeta fiorentino… Il cielo di Tolkien, previsto per il 25 ottobre, sembra promettere un brusco ma interessante balzo in avanti.
Rebecca Ruggeri