C’è nel bosco un ciliegio in fiore. Selvatico, di quelli che i miei frutti – se ne faccio – li tengo per gli uccelli. Nel bosco ancora brullo, che appena appena comincia a verdeggiare, quella forma chiara, come spruzzata, spicca sullo sfondo scuro, pare raffigurare sé stessa in un dipinto pointillié. Le sue fronde bianche vestono un tronco bruno che altrimenti si confonderebbe con gli altri.
La mente torna alla pandemia e mi scopro a riflettere sugli esseri viventi, sulla vita selvatica, su quella addomesticata e su quella degli uomini, in continuo progresso.
Un virus non è un essere vivente, non è né un animale né un vegetale e nemmeno una cellula, ma solo un’infima molecola ai margini della vita, un parassita obbligato che si attiva solo se gli passa davanti l’ospite adatto. Allora si “sveglia” e, malgrado sia privo di qualsivoglia strategia, volontà o intenzionalità, scompiglia tutto.
Noi non riusciamo a star fermi, a immaginarci come petali, o puntini di una magnifica tela pointilliée. Che è un’opera d’arte e non un puzzle, e pertanto sopporta qualche spostamento, ma non sopporta che tutti i punti si muovano in continuazione come facciamo noi, confondendo l’essere liberi con l’essere mobili. I puntini allora diventano macchie. A volte, macchie malate.
I petali bianchi presto cadranno, i rami sfioriranno, si copriranno di foglie e produrranno frutti striminziti buoni per gli uccelli. Ma l’albero resisterà, concluderà il ciclo delle stagioni e lo ricomincerà ancora molte volte.
Il bosco è l’universo, l’albero la Terra e noi siamo petali. Duriamo meno di una stagione.
La brezza ci muove, la luce ci scalda, gli insetti ci vengono a trovare e il vento ci agita. Spandiamo profumi e accendiamo colori.
Nell’euforia della vita in fiore diamo per scontata la piantaTerra che ci nutre e ci sostiene.
Elena Spoerl