Il contagio del male in Manzoni e Primo Levi
Ogni scrittore crea i suoi precursori. La sua opera modifica la nostra concezione del passato, come modificherà il futuro. (J. L. Borges)
Domenico Scarpa, consulente letterario-editoriale del Centro Studi Primo Levi, nella conferenza rientrante nel ciclo Quel ramo del lago di Como, svoltasi ieri sera all’USI, si è soffermato sul ricco tessuto di citazioni ed evocazioni manzoniane nell’opera di Primo Levi. Il chimico e scrittore torinese «perturba», «ricombina» e «sfigura in maniera feconda» l’immagine di Alessandro Manzoni, gettando nuova luce sui Promessi Sposi. Dall’attenta analisi del relatore emerge non solo, da parte di Levi, una fine interpretazione e approfondita conoscenza del romanzo ottocentesco, ma anche una sorta di affinità con Manzoni, condividendo con esso diverse riflessioni, compresa quella sul “contagio del male”.
«I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi» – questo commento di Manzoni (Promessi Sposi, cap. II) sarà esplicitamente citato da Levi in una sua intervista, specificando che non c’è «tribunale umano» (espressione manzoniana) che sia capace di giudicare la colpa dell’offeso. Renzo, che spinto dal desiderio di vendetta minaccia don Abbondio con un coltello, è il “carnefice” o la “vittima”?. Come si suol dire, «ai posteri l’ardua sentenza…». Una risposta Primo Levi non la offre, ma rifletterà ancora su questo tema ne La Tregua, sottolineando che «la giustizia umana è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà».
«Il Novecento è già prefigurato in Manzoni», commenta il relatore, ricordando anche la riflessione dello scrittore sulle responsabilità individuali, così difficili da valutare e su cui è quasi impossibile imporre un giudizio definitivo, ma che costituisce un elemento cardine per una corretta analisi dei fenomeni di propagazione del male. Primo Levi, riflettendo inoltre sull’episodio di Cecilia, ne I sommersi e i salvati affermerà che «il turpe monatto» dimostra «un insolito rispetto e un’esitazione di fronte al caso singolo, davanti alla bambina Cecilia morta di peste che la madre rifiuta di lasciar buttare sul carro confusa fra gli altri morti», per poi concludere che «una singola Anna Frank desta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei», e che «forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere».
Levi cercherà invece di fronteggiare la forza “irrevocabile” e “invincibile” del Male e della Storia che procede “implacabilmente” sul destino degli uomini (sono queste ulteriori tessere concettuali e testuali che legano i due scrittori), parlando dell’uomo comune. Nella presentazione dell’edizione del 1947 di Se questo è un uomo scriverà che non gli interessava raccontare «delle eccezioni, degli eroi e dei traditori»; al contrario, ha cercato di mantenere l’attenzione «sui molti, sulla norma, sull’uomo qualsiasi, non infame e non santo, che di grande non ha che la sofferenza, ma è capace di comprenderla e di contenerla». Allo stesso modo, ha concluso Domenico Scarpa, Manzoni ha dato voce a un’intera classe che non era capace di esprimersi; i Promessi Sposi tratta di uomini comuni, racconta una storia inaudita, che prefigura, come abbiamo visto, quella novecentesca.
Lucrezia Greppi