Cultura

Il fascino del viaggio nel deserto

«Ciò che rende bello il deserto» – disse il piccolo principe – «è che da qualche parte nasconde un pozzo».

                                                                                                                                                 (Antoine de Saint-Exupéry)

Estate. Tempo di evasione e di vacanze. È il momento dell’anno in cui ognuno sogna di ritrovarsi in una realtà nuova per apprezzarne le bellezze e per conoscere la cultura dei luoghi. Il viaggio però non è da intendersi solo come la partenza verso una destinazione, piuttosto come un momento di formazione e di riflessione. Lo sapevano bene i nobili figli degli aristocratici che nel XVII secolo svolgevano il grand tour, un lungo viaggio attraverso le principali città per perfezionare il loro sapere. E ancora, in epoche più recenti, non sono stati pochi gli scrittori che, spinti dalla sete di conoscenza e dal bisogno di comprendere le dinamiche interne del proprio Paese, resero i propri romanzi dei veri e propri reportage di viaggio: si pensi a “On the road” di Jack Kerouac o a “Travels with Charley: In Search of America” di John Ernst Steinbeck. Proprio come i protagonisti di queste lunghe attraversate si dovrebbe sentire chi, armato di zaino in spalla e desideroso di lasciarsi stupire, decide di mettersi in cammino.

Ci sono dei luoghi che più di altri sembrano in grado di raccontare una storia, ma non per forza quelli riccamente popolati o colmi di attrattive turistiche. Anche le terre più desolate e silenziose possono sorprendere.

@Berthold Werner, Wikipedia

Si pensi al deserto, uno in particolare: quello della Penisola del Sinai, unico territorio asiatico d’Egitto che in comune con le piramidi conserva solo la conformazione geografica. Chi l’ha detto che nel bel mezzo della natura arida, assetata e bruciata dal sole non sia possibile scorgere la vita con tutti i suoi cicli ed evoluzioni? Lontano dalle gettonate località balneari di Sharm el Sheikh e Naama Bay e da siti storici come il monastero dedicato a Caterina d’Alessandria (nella foto) – il più antico della cristianità che sorge alle pendici del monte Horeb dove Mosè avrebbe parlato con Dio nell’episodio biblico del roveto ardente e avrebbe ricevuto i comandamentiil deserto ospita le tribù dei beduini – in arabo badawiyyīn significa “abitanti del deserto” – riconoscibili per via del loro abbigliamento: nero per le donne che coprono anche il capo con dei veli e bianco per gli uomini. Costoro ancora oggi vivono come nomadi, praticando allevamento e pastorizia nel rispetto delle tradizioni dei padri. Eppure anche presso questo popolo non mancano chiari segnali di modernizzazione: accanto alle loro tende, per esempio, stanno incominciando a sorgere, proprio nel bel mezzo del deserto, delle vere e proprie strutture in cemento armato che contrastano nettamente con la natura circostante, oltre a rappresentare il chiaro passaggio di queste genti dal nomadismo alla sedentarietà.

Proprio a causa della natura non feconda, il Paese non appare molto ricco e per questa ragione qualunque tipo di profitto, da trent’anni a questa parte, proviene dal turismo. Perciò anche i beduini oggi non si spostano più unicamente con i cammelli ma a bordo di jeep super accessoriate con le quali conducono i turisti alla scoperta della penisola. Sono state adibite anche delle tende nelle quali questo popolo, per il quale l’ospitalità è sacra, accoglie i visitatori a cui vengono offerti pane non lievitato e cotto nella cenere e thè di propria produzione.

Forse l’immagine più pura in cui, se si è fortunati, ci si può imbattere è quella di un gruppetto di bambini che rincorre le jeep dei padri per salutare allegramente i visitatori. Ma proprio la tutela dei più piccoli sembra non evolvere ancora tra queste genti. Se ne trovano a decine nei luoghi più affollati, pronti ad aiutare chi si appresta a salire in groppa ad un cammello, a seguirlo lungo tutto il percorso di durata variabile, a piedi scalzi, senza sosta, pur di ricevere un’offerta libera da chi, certamente intenerito, rivolge loro anche un sorriso.

Foto: Riccardo Serena

Non sono solo i maschi a darsi da fare, anche le bambine si ingegnano, realizzando piccoli souvenires o vigilando sugli accessori incustoditi di chi glieli affida. Tutto pur di ricevere una ricompensa necessaria per vivere. Questo è il deserto, un susseguirsi di tradizioni ed evoluzioni, di passato e presente, di purezza e contaminazione che scalfisce l’animo di chi, imbattutosi per la prima volta in esso, alla fine del viaggio sa già che dovrà farvi ritorno, magari un giorno lontano, per farsi raccontare una nuova storia.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Michela Giacobone

                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

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