Un grande complesso capolavoro adattato ai giorni nostri: è questo il lavoro della Compagnia grigionese Origen, che ieri sera nel cortile del Teatro Dimitri ha portato in scena un adattamento moderno de Il Maestro e Margherita. Negli anni che separano il 1928 e la sua morte, avvenuta nel marzo del 1940, Michail Bulgakov immaginò e riscrisse questo testo per almeno otto volte. Forse non saranno altrettanto le volte che la Compagnia ha ripensato il suo spettacolo, ma di sicuro il risultato si può dire ben riuscito, a partire dall’originale scelta di comporre una pièce multilingue, in cui poche rare battute in italiano ricevono originali risposte in tedesco, francese e dialetto. “Die Zeit drängt”, proclama solennemente il diavolo quando giunge a Mosca con il proprio seguito di buffi e perfidi collaboratori e, mentre cerca una regina del Sabba, senza cui il ballo non può aver luogo, punisce viltà, meschinerie e soprusi divertendosi alle spalle di funzionari del Partito comunista, burocrati e moscoviti da lui giudicati immorali.
Lo scopo? Riscattare il Maestro e la sua opera, messo da parte dai funzionari del regime e disprezzato per il suo romanzo su Ponzio Pilato. Gli strumenti della satira sono perlopiù una chitarra e la musica che accompagnano scene di canto corali e una Margherita, amante del Maestro, impaziente di rientrare sulla scena. Così, in realtà, la pièce è una riflessione divertita sul romanzo stesso, in cui il Maestro e Margherita entrano in gioco solo dopo diversi capitoli. La pièce per ridare questa sensazione di straniamento e di attesa verso la comparsa dei veri protagonisti, immagina una Margherita irrequieta che compare sul palco nei momenti più improbabili, chiedendo a Satana di poter intervenire al più presto per salvare il Maestro. Belle inoltre le parodie di Varenucha, il direttore del Teatro russo, approfittatore che pensa solo a divertirsi, e il poeta Ivan, cui il diavolo, per metterlo fuori gioco in quanto concorrente del Maestro, induce a pensare di soffrire di schizofrenia: e così ogni gesto “non è il suo gesto”, i suoi arti, gambe e mani, lo portano a compiere movimenti in cui egli non si riconosce, scaraventandolo da una parte all’altra del piccolo palco.
Ma anche il Maestro, costretto in manicomio, sarà vittima di giochi di scena surreali, come una fantomatica lobotomia che dovrebbe farlo rinsavire e che invece lo costringe quasi alla morte per l’incapacità del dottore di compiere l’operazione. E il pubblico ride. Ride perché ha forse bisogno di prendere una sana distanza da quel modo surreale che pure sembra umanissimo e reale, fatto di quegli archetipi che appartengono alla memoria collettiva. Il riso è un potente demistificatore. La stessa conclusione della pièce è una risata liberatoria e potente che si impadronisce di tutta la platea: invitata a patteggiare col diavolo un modo per vendere “das Reichtum der Seele” – la ricchezza della sua anima – per salvare l’amato, Margherita viene chiamata a firmare un surreale contratto, in cui si dichiara pronta a morire. Unico dettaglio: una clausola prevede che ella scelga le modalità della sua morte. E la sua scelta è chiara: “voglio morire di vecchiaia”. Accompagnata dal riso del pubblico, Margherita si sbarazza così, al di là di ogni possibile previsione, del diavolo. Il finale è dunque affidato al valore dissolutore del riso, sconvolgendo un’idea comune in primis: il comico non ha più origine demoniaca (vi ricordate Baudelaire e il suo De l’essence du rire?), ma è un modo per sbarazzarsi del male stesso. Grande lezione di vita. Quello stesso strumento che il diavolo sembrava padroneggiare per tutta la pièce, alla fine diventa un’arma che gli si ritorce contro. E il pubblico, naturalmente, non può che applaudire.
Laura Quadri