Il prossimo 19 settembre Campione d’Italia onorerà don Sandro Vitalini – prete, docente universitario a Friborgo, scrittore nato in questo Comune – intitolandogli la Galleria Civica. In avvicinamento a questo evento, ogni lunedì pubblichiamo un intervento di persone che a vario titolo gli sono state vicine. Questa settimana è la volta di don Gianfranco Feliciani, parroco di Chiasso.
Sensibilissimo fino alle lacrime di fronte a ogni sofferenza umana, don Sandro è stato davvero il professore degli ultimi: perché aveva fatto del Vangelo di Gesù il suo stile di vita. La sua vastissima conoscenza teologica era tutt’altro che un’astratta erudizione, ma una appassionata contemplazione di quell’Amore divino che conduce sempre all’amore per i fratelli. Così scrive in un interessantissimo volumetto dal titolo: Voglio dirti qualcosa di Dio: «Più noi ci apriamo all’amore e più siamo impegnati sul fronte della vita per assorbire ogni forma di male, anche a costo della nostra. Anche se colpiti da molti mali, non possiamo chiuderci in noi, ma piuttosto dobbiamo lottare, condividendo le sofferenze altrui. Il Cristo è realmente presente nell’affamato, nel profugo, nel malato, nel condannato. Invece di immaginare un Dio-burattinaio, dobbiamo adorare il Dio che soffre e cercare di alleviargli la sofferenza in ogni creatura».
Basterebbe, in fondo, questa motivazione evangelica per comprendere il mistero della bontà di quest’uomo dall’acuta intelligenza, dalla profonda spiritualità, dalla limpida eloquenza e dal rassicurante sorriso. Ma ne esiste una seconda, intimamente collegata alla prima: don Sandro è stato, fino alle midolla, dapprima figlio e poi testimone e teologo di quel Concilio Vaticano II che aveva riportato la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa e inaugurato uno stile nuovo di evangelizzazione. Dal momento in cui la “Dei Verbum” proponeva con coraggio il primato della Parola di Dio, si ebbe l’immediata sensazione che tutte le impalcature morali e spirituali che sostenevano la vita ecclesiale fossero chiamate ad una radicale conversione. “Ecclesia semper reformanda”… era un’espressione molto cara a don Sandro. Ponendosi ancora una volta in ascolto della Parola di Gesù, la Chiesa riscopriva tutta la novità rivoluzionaria del suo messaggio d’Amore.
«La Sposa di Cristo – aveva detto Giovanni XXIII all’apertura al Concilio, l’11 ottobre 1962 – preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». E Paolo VI, alla chiusura del Concilio, il 7 dicembre 1965, proclamava: «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma del Concilio… Se noi ricordiamo come nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo, il Figlio dell’uomo, e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste: “Chi ha visto me – disse Gesù – ha visto il Padre” (Giovanni 14,9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo».
Al mondo moderno in rapida trasformazione e confrontato con drammatiche sfide, la Chiesa annunciava l’Amore di Gesù come chiave decisiva del destino umano. I tempi nuovi apparivano come un “kairós”, come un momento di grazia particolare per l’accoglienza di un dono di salvezza e di pace destinato all’intera umanità. E come ai tempi del primo annuncio evangelico i primi destinatari erano ancora i poveri, i diseredati, gli ultimi. Don Sandro, dalla cattedra di Teologia dell’Università di Friborgo come dall’altare della più umile parrocchia ticinese, per tutta la vita ha insegnato e agito in questo spirito.
La frontiera di Chiasso: ponte o muro? Ho avuto la fortuna di avere don Sandro sempre presente nel mio cammino di vita: negli anni di studio a Friborgo come rettore in seminario e professore all’università, e poi come confratello e amico fedele sempre pronto a dare una mano. Ma è stato soprattutto con il mio arrivo a Chiasso nel 2001 che la comunione con don Sandro si è fatta più intensa. Quando nel 2008 il vescovo don Mino venne in visita pastorale, incontrando l’Autorità comunale disse che “Chiasso doveva diventare un bel biglietto da visita da offrire a tutti quelli che entravano in Svizzera”. Non era semplicemente un’espressione originale e gentile, ma piuttosto un serio invito ad affrontare i problemi nuovi con una politica nuova. E a Chiasso i problemi non mancano. Cittadina di frontiera, ultimo lembo di un piccolo Stato da molti considerato “isola felice” separata dal resto del mondo, Chiasso è come se oscillasse tra due identità e atteggiamenti contrastanti: essere “ponte” che unisce e accoglie, o essere “muro” che divide e respinge. Il “Centro richiedenti l’asilo”, che accoglie centinaia di esseri umani in fuga dalla miseria e dalla guerra, rappresenta una “sfida” costante per la coscienza civile e cristiana di tutti i chiassesi.
Subito compresi che la Parrocchia non poteva rimanere indifferente e che la prima azione poteva essere innanzitutto quella della parola, una parola chiara e sincera rivolta a tutti, e non solo ai fedeli. Se ai cristiani va ricordato che nello straniero e nel profugo dobbiamo riconoscere il volto stesso di Cristo, a tutti va ricordato che il rispetto dei diritti umani e il dovere di non chiudere il proprio cuore a chi è nel bisogno, sono valori che scaturiscono dalla concezione democratica dell’uomo e della società. E proprio perché siamo fieri della nostra democrazia, non possiamo cedere a sentimenti di ostilità e xenofobia. Ma le parole non possono rimanere disincarnate dentro un “politicamente corretto” che ipocritamente schiva l’oliva, ma devono calarsi nel concreto. Ad esempio, dissi dal pulpito che non possiamo respingere i profughi alla frontiera perché ci danno fastidio ed accogliere le “artiste” nei nostri “night club” perché ci fanno comodo. Queste prediche “politiche” davano fastidio a qualcuno. Non mancarono le reazioni… Don Mino non esitò a prendere pubblicamente le mie difese. Don Sandro mi scriveva quasi settimanalmente esortandomi ad andare avanti senza timore. Io intanto continuavo a studiarlo – la sua tesi di dottorato aveva proprio come titolo “La nozione di accoglienza nel Nuovo Testamento” – e a cercare ispirazione per il mio impegno.
A Breganzona, il 17 febbraio 2000, ai membri dell’Organizzazione Cristiano-Sociale Ticinese (OCST), don Sandro aveva rivolto queste parole: «L’opzione di fondo cristiana ci porta in politica a delle scelte estremamente coraggiose a favore degli ultimi e degli emarginati. In passato si è avuta l’impressione che i partiti di ispirazione cristiana si collocassero in un’area moderata, a salvaguardia più dello “status quo” dei ceti più abbienti che dei diritti degli ultimi, solitamente calpestati. Se questo atteggiamento politico conservatore può essere in parte spiegato da motivi storici, oggi esso va decisamente ripudiato. Sarebbe ora e tempo che Chiese e cristiani, pur coscienti della modestia delle loro forze, si facessero voce di chi non ha voce e denunciassero ogni forma di sopraffazione nei confronti dei poveri. L’ingiustizia nei loro confronti, con la cosiddetta globalizzazione, ha assunto proporzioni mostruose».
In tutti questi anni don Sandro mi ha seguito e sostenuto passo dopo passo con una assiduità e un affetto davvero esemplari. È stato e sarà sempre il mio maestro. Nei giorni dell’incomprensione e dell’amarezza la sua vicinanza e le sue parole sono state per me un vero balsamo sulle ferite. Gliene sarò grato per sempre!
Gianfranco Feliciani
parroco di Chiasso
Testimonianza tratta dal libro “Il Vangelo della gioia”, di Giuseppe Zois, Edizioni Ritter, Lugano.