Cinema

Il sogno degli Höss e l’incubo degli ebrei

Tutti gli indizi, le metafore, le simbologie, le metonimie, ottenute con il paesaggio sonoro e il ricorso all’immaginazione, e quindi alle immagini, in The Zone of Interest di Jonathan Glazer, che andrebbe visto in lingua originale, sono scelte pensate con grande maestria per caricare di significato l’atteggiamento schizofrenico di una famiglia nazista, che consuma le sue giornate nell’infame quotidianità, mentre al di là del muro di cemento, a poche centinaia di metri dall’abitazione di Rudolf Höss, il boia di Auschwitz, la tragedia dell’Olocausto richiama lo spettatore, che viene interpellato anche per le sue responsabilità individuali e collettive come a dirci: così come loro sapevano anche voi sapevate.

The Zone of Interest

Una scena da The Zone of Interest di Jonathan Glazer.

The Zone of Interest è completamente ambientato nell’area di quaranta chilometri quadrati, che circonda Auschwitz, conosciuta dalle SS naziste come “la zona di interesse”, o “Interessengebiet”. Tratto dal romanzo di Martin Amis, una storia vera, il film ti immerge e porta in una dimensione disturbante, come un pugno nello stomaco perché descrive la quotidiana normalità della famiglia Höss, e del capo sanguinario (interpretato da Christian Friedel), la mente diabolica del campo di concentramento di Auschwitz. Lo spettatore è al corrente di quel che succede dietro il muro di cemento perché si intravvede: la torretta delle guardie, il camino del forno crematorio, i blocchi di cemento, e il treno dei deportati. Ci sono pochi riferimenti visivi, indizi che però simboleggiano la storia, della ferocia e delle atrocità. Infatti non scorre il sangue dello sterminio, e questo proprio perché il regista fa leva sulle conoscenze pregresse del mondo intero, riprendendo invece, in modo volutamente ossessivo, la vita della famiglia del più spietato tra i nazisti, insistendo sul loro stile di vita, e sulla loro indifferenza, come quella della moglie Hedwig (interpretata dalla grandiosa Sandra Hüller). Mentre il muro di cemento delimita e allo stesso tempo confonde il bene e il male, la vita e morte, il normale e l’abominevole, la luce e le tenebre, Glazer trancia nettamente due realtà agli antipodi: la vita di Höss, il quale progettava l’efficienza dei forni crematori, e lo sterminio degli ebrei. Il film scorre forzatamente con un ritmo lento, con cui viene descritta la nefandezza consapevole degli Höss, che gioiscono tra fiori meravigliosi, una serra, la festa in piscina, i figli che giocano con i denti d’oro, le donne della famiglia che si spartiscono i vestiti di seta dei bambini morti, sottratti agli ebrei, il cane nero che sbuca da ogni angolo, la servitù sottomessa, l’amore di Höss per il suo cavallo, lui che vomita non perché realizza cosa ha fatto, il suo tradimento, i girasoli e l’orto. La sola reazione vera di disgusto la manifesta la madre di Hedwig, quando di notte vede il fuoco dei forni crematori. Glazer la fa uscire in direzione della cinepresa, come se stesse uscendo da questo inaccettabile scempio.

The Zone of Interest - Christian Friedel

Christian Friedel (a sin.) in una scena da The Zone of Interest di Jonathan Glazer.

A inizio film, lo schermo è nero, senza immagine, non c’è sonoro, non c’è musica, solo il cinguettio degli uccelli, e degli strani lamenti in lontananza perché molti hanno veramente vissuto lo sterminio tenendo le debite distanze da ciò che accadeva, anche se si sapeva. La scena iniziale si apre con la scampagnata della famigliola felice, attraversata dalla classica crisi matrimoniale, in una natura bucolica, in assoluta libertà, immersi nella bellezza del paesaggio polacco. Il direttore alla fotografia ricorre alla luce delle lampade dell’ambiente interno, senza avvalersi delle tipiche luci cinematografiche perché tutto deve apparire maledettamente normale. Glazer non utilizza musiche in sottofondo, riprende le scene con assoluta naturalezza, posiziona le cineprese in punti fissi, per dare agli attori libertà di movimento, e dare la sensazione che la famiglia Höss sia una famiglia come tante altre, come la nostra, che vive con spontaneità, quando invece sappiamo quale sia stato, e chi non lo sa lo può immaginare, il ruolo di Höss e cosa hanno fatto i nazisti. L’aver puntato la cinepresa sull’interno di famiglia, riprendendo particolari all’apparenza insignificanti, con l’intento di suscitare noia perché non accade quasi nulla, invece di insistere su quanto stava avvenendo oltre quel muro ad Auschwitz, è l’espediente registico più riuscito ed angosciante, che crea sgomento nello sgomento, perché non è possibile spiegarsi un simile sdoppiamento: la famiglia Höss che vive come sognava di vivere, e milioni di ebrei trucidati, che muoiono nel peggiore degli incubi. Due realtà contigue, vissute su un asse temporale a specchio che si sovrappongono, creando aberrazione.

The Zone of Interest - Sandra Hüller

Sandra Hüller in una scena da The Zone of Interest di Jonathan Glazer.

Non credo di essermi persa molti film sull’Olocausto, compreso Shoah di Claude Lanzmann. Ma so per certo che dopo Glazer ho pianto e passato giorni con un senso di stordimento perché, pur non avendo visto sangue che scorre, ho visto invece come la crudeltà del male può assumere le sembianze di una tranquilla, innocua e banale famiglia, che beve impassibile il caffè in cucina, insieme agli spari, all’abbaiare dei cani, alle urla, al fumo, alla cenere e alla morte.

Nicoletta Barazzoni

Amedeo Gasparini ha visitato il campo di sterminio di Auschwitz e ne ha riferito nell’episodio 33 del nostro podcast Onde Corte.

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