Commento

Il terrorismo nella Guerra Fredda raccontato da Valentine Lomellini

Il terrore non è diplomazia: lo spiega bene Valentine Lomellini, in libreria con La diplomazia del terrore (Laterza 2023), in cui analizza il terrorismo internazionale dal 1967 al 1989. È il terrorismo arabo-palestinese che cattura l’interesse dell’autrice. Che spiega subito che il terrorismo arabo-palestinese prima e quello islamista dopo avevano optato per l’esportazione della propria lotta ben prima che Al-Qaeda abbattesse il World Trade Center. Il viaggio di Lomellini nel mondo del terrorismo parte dagli anni Sessanta. Allora, l’Italia e la Repubblica Federale Tedesca vissero il terrorismo rosso e nero. La Francia subì attacchi da parte del terrorismo marxista-leninista e di quello nazionalista basco e corso. La Gran Bretagna dovette invece affrontare il terrorismo irlandese. I quattro paesi europei dovettero sviluppare una visione d’insieme sulla questione e sul come affrontarla. Il primo periodo (1967-1972), esplora il rapporto tra terrorismo e Guerra Fredda, al tempo del disordine bipolare.

Valentine Lomellini ricorda come il Cremlino fornì in alcuni casi supporto, non tanto per destabilizzare il mondo, ma per ottenere benefici più limitati e immediati, come informazioni sui sistemi occidentali di intelligence. Gli attacchi alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 rappresentarono l’esordio del terrorismo arabo-palestinese a livello internazionale. Immediatamente si cercarono risposte agli eventi con il Club di Berna e la creazione di un Comitato europeo dei servizi di sicurezza. Alcuni Stati, tuttavia, si ritirarono, esprimendo un’opposizione sostenendo la necessità di mantenere le cose invariate per ragioni di riservatezza. «Non si spiega infatti perché […] non si ritenesse più efficace una risposta più istituzionalizzata da parte degli Stati», commenta Valentine Lomellini. Nella cerniera 1973-1978 si parte dall’attacco in Israele nel giorno dello Yom Kippur. I Paesi arabi si trovarono in possesso di un’arma potente per condizionare le relazioni internazionali, amplificata dalle caotiche reazioni che emersero in Europa.

La Francia, all’epoca guidata da Valéry Giscard d’Estaing, divenne uno dei principali bersagli del terrorismo in Europa. L’allora vicepresidente iracheno Saddam Hussein manifestò la sua soddisfazione, lasciando intendere che ciò avrebbe aperto la strada a un’ulteriore intensificazione degli scambi economici e della cooperazione tra i due paesi. Rispetto agli attentati del 13 e 19 gennaio, l’OLP si espressa con una condanna formale. Valentine Lomellini ricorda come l’“effetto Orly” avesse anche impatto sulla possibile adesione della Francia alla Convenzione di Montréal. Questa impegnava gli Stati ad assicurare la detenzione dell’autore di un reato terroristico, includendo la possibilità di estradizione. Si svolsero poi diversi dibattiti alle Nazioni Unite con accuse reciproche tra Israele e alcuni paesi africani. Il governo guidato da Yitzhak Rabin si dichiarò più volte incredulo di fronte alla cautela delle autorità francesi. Iniziò dunque l’allarme a tutti i membri della Comunità europea.

Ministri dell’Interno e della Giustizia avrebbero dovuto avanzare nell’istituzione di una cooperazione intraeuropea sulla questione della sicurezza. Un punto di discussione politica ruotava attorno alla proposta di eliminare i controlli alle frontiere. Ma i rappresentanti dell’intelligence si opposero a questa proposta. Valentine Lomellini ricorda che una liberalizzazione non regolamentata delle frontiere interne avrebbe sollevato la questione della gestione dei cittadini indesiderabili di Stati non membri della CEE. Una prima misura adottata per affrontare il terrorismo fu il controllo degli aeroporti. Seguì l’implementazione di un sistema di catalogazione dei messaggi. Si stabilì una correlazione tra atti di terrorismo, sequestri di persone e pirateria. Dal 1979 al 1984 si vide un aumento delle crisi. I primi anni Ottanta sono caratterizzati dalle discussioni su “international terrorism” e “State-sponsored terrorism”. Allora la Libia di Muʿammar Gheddafi che entrava a pieno titolo nella lista degli Stati canaglia che sostenevano il terrorismo internazionale.

Tre le minacce considerate preminenti dai governi europei: quella di origine palestinese, quella armena e quella libica. Valentine Lomellini sottolinea che negli anni 1979 e 1981 si registrò un aumento degli attentati terroristici internazionali. Il principale teatro di questi attacchi rimaneva l’Europa occidentale, con terrorismi nazionalisti come quello dell’IRA e quelli di sinistra. Il 2 agosto 1980, alla stazione di Bologna, un ordigno causò la morte di 85 persone. Le responsabilità libiche nel sostenere il terrorismo internazionale erano evidenti. Alla fine, la cooperazione europea nell’ambito dell’antiterrorismo e della lotta alla criminalità organizzata si aprì al coordinamento. L’obiettivo era rilanciare l’integrazione economica e il ruolo politico della CEE anche nella politica di sicurezza. Il 1985, l’Italia si rivelò un annus horribilis per la sicurezza, dopo aver in gran parte sconfitto il terrorismo politico interno con la fine della stagione della violenza di sinistra e delle stragi nere.

Il governo di Bettino Craxi, il più longevo della storia repubblicana nella Guerra Fredda e il primo a guida socialista, utilizzò la fine del terrorismo politico interno come uno dei pilastri per rilanciare la credibilità e il ruolo politico dell’Italia nella scena internazionale. L’Italia fu una delle principali sostenitrici del processo di accreditamento politico dell’OLP nel Vecchio Continente, come nel caso dell’Achille Lauro, dirottata da un commando palestinese nell’ottobre 1985. Craxi e Giulio Andreotti, costantemente orientati verso una posizione filoaraba, reputavano essenziale avviare un dialogo con i Paesi e i movimenti moderati. Valentine Lomellini spiega che durante il post-Guerra fredda, «lo Stato, come attore, restò centrale nel controllo della sicurezza […]. Con il progressivo […] distanziamento della moderata dell’OLP leadership dall’utilizzo della violenza al di fuori dello scacchiere mediorientale, i gruppi terroristici furono sempre più legati e condizionati da alcuni Stati, che li utilizzarono come “surrogati” della propria diplomazia».

Durante la Guerra Fredda, Francia e Italia «si trovarono a dover scegliere tra tutelare i propri cittadini dagli attentati terroristici, adottando delle misure nei confronti degli Stati sponsor del terrorismo, oppure garantire la sicurezza statuale nella sua accezione più globale. Trovarono una soluzione eticamente discutibile ma che consentiva di raggiungere entrambi gli obiettivi: dialogare con gli Stati sponsor del terrorismo arabo-palestinese avrebbe garantito l’incolumità dei territori nazionali dagli attentati e la sicurezza geopolitica». «Il game, che aveva parzialmente win-win garantito i Paesi europei dagli attentati del terrorismo arabo-palestinese e aveva assicurato gli scambi commerciali ed economici e l’approvvigionamento del greggio, lasciò spazio a nuovi scenari di destabilizzazione di cui siamo ancora oggi testimoni». La strategia dell’appeasement funzionò nel medio termine e garantì ai Paesi europei una certa sicurezza rispetto all’immunità dagli attentati.

Amedeo Gasparini

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