Il testo è bello, gli attori sono bravi, Claudio Laiso e Antonio Zanoletti, nelle vesti di adattatori teatrali e registi, hanno fatto un buon lavoro, ma, lo diciamo subito, la ricezione de La passione di San Lorenzo, ieri in Cattedrale nell’ambito della rassegna dei Vesperali, è risultata piuttosto difficoltosa a causa di un fastidioso rimbombo che, soprattutto nei toni alti, rendeva faticosa la comprensione delle voci, problema amplificato dall’uso dei microfoni. Che non fossero necessari in un ambiente così, ma secondo me mai a teatro anche se oggi ne è diffuso purtroppo l’uso, è stato dimostrato quando quello di un attore ha smesso di funzionare: si sentiva benissimo. Poi gliene è stato dato uno a mano… La prossima volta occorrerà pensarci.
Detto questo, alla realizzazione (v. intervista sul Magazine n. 14/2019 di sabato 6 aprile) sono state apportate alcune modifiche durante le prove, per il canto e la musica inseriti in luoghi deputati del copione, non anche come “tappeto sonoro”, così come sono stati limitati gli interventi di Turoldo (da una registrazione a pochi giorni dalla morte, nel ’92).
La musica che si alterna (composizioni originali di Walter Zweifel-Patocchi eseguite all’organo e con Claude Hauri al violoncello e Sandra Merz, soprano), tra Gloria, Miserere, Dies irae…, è potente, quasi cinematografica, impetuosa, come lo spirito che emana da questo scritto di sofferenza e ribellione.
La parola si apre con una riflessione dell’autore che invita alla responsabilità e alla condivisione, tra l’altro: Dovremmo alzarci al mattino e poter dedicare la nostra giornata affinché ogni azione sia portata a termine per beneficio di tutti gli esseri umani. Questa è la ragione, quasi quasi di alzarsi al mattino e di vivere proprio… se tu invece al mattino ti alzi con il proposito di trarre profitto dagli altri, tu non fai altro che preparare la tua fine, la tua morte, la tua sterilità.
Quindi inizia il dramma con il sacerdote (Giacomo Lisoni) a confronto dialettico con uomini e donne che rappresentano il popolo, le sue esigenze, le sue critiche verso una Chiesa che non risponde più all’evangelico messaggio originario, una chiesa dorata, paludata, che non risolve le differenze sociali: La Chiesa, per sopravvivere, si è dovuta costituire in potenza, irrobustirsi di ricchezza e ammantarsi di splendore. È questa forse la gloria di Dio? E la fraternità umana? Intanto le genti si stringono attorno agli altari, ora stordite, ora commosse, ora tremanti per i cataclismi che poi ritornano a rovesciarsi, a ondate, come i flutti di un mare. Ma così non è giusto, non è giusto.
Turoldo aveva scritto questo testo ad inizio anni ’60, in un momento travagliato e difficile della sua vita, quando egli stesso era stato esiliato, messo ai margini dai poteri ecclesiastici di cui vedeva e denunciava le derive.
Ma dentro il popolo si evidenziano contraddizioni, affamato, preda di malattie, di miseria e discriminazione, relegato in tuguri, la Chiesa può diventare un necessario rifugio di splendore e il prete commenta: Signore, insegnami che devo fare. Uno dice che la chiesa è troppo povera per il culto di Dio, e un altro che è troppo adorna. Uno ha bisogno del fasto per credere e un altro perde la fede, perché troppo fastosa! Uno la trova opprimente, e un altro spaziosa e regale.
La voce di Turoldo si eleva ancora con un messaggio di speranza. L’attualità del testo è rinforzata dall’evocazione di guerre e persecuzioni che, al di là del tempo, hanno sempre messo a dura prova l’essere cristiani. Le domande sono sempre quelle, il perché della sofferenza. Eppure, dice Turoldo, è bastato un Gorbaciov per cambiare la faccia del mondo, per far crollare un impero…
La scena muta, gli attori si aiutano reciprocamente a cambiarsi d’abito, il prete incarna San Lorenzo, siamo nel 258, ma evidenti sono i riferimenti alla modernità, gli sgherri dell’imperatore Valeriano che vuole sradicare il Cristianesimo, confiscandone i beni, uccidendo tutti quelli che non si sottomettono, vestono divise di soldati. Il messaggero che illustra la situazione storica, con il suo microfono in mano, sembra un cronista dei nostri tempi.
Lorenzo sarà martire. Turoldo ricorda alla Chiesa stessa, nel momento della crisi, ciò che ha perso di vista e le sue contraddizioni e lo fa con l’esempio di chi ha messo a disposizione la sua stessa vita; il dialogo con il tesoriere di Valeriano evidenzia la problematica del potere e dello stato: Se la Chiesa si facesse Stato, io vorrei essere annoverato fra i più implacabili suoi avversari. Mi farei anche uccidere come Cristo è stato ucciso, prima che dai romani, dai sommi sacerdoti. Perché anche costoro aspettavano un Regno terreno. La Chiesa è un regno, ma non di questo mondo. Diversamente, sarebbe il più grande dei sacrilegi, afferma appassionatamente Lorenzo.
Una decina gli attori, tra cui, il protagonista Lisoni e Viola Pornaro, Michele Carvello, Corrado Drago, Mario Aroldi, Marialaura Ardizzone, Gabriella Carrozza, Davide Ghirlanda, che hanno fatto davvero un lavoro straordinario se si pensa ai pochi giorni che avevano a disposizione.
Passando oltre i problemi acustici, la platea ha applaudito e, come era stato annunciato da Enrico Morresi, ha avuto la sorpresa di vedersi consegnato all’uscita il cd I primi vent’anni dei Vesperali (1984-2003) di cui sono state rintracciate alcune copie.
Terzo e ultimo appuntamento il 16 aprile con Ufficio delle Tenebre – Feria V in Coena Domini e con la testimonianza di don Antonio Loffredo, “il parroco del rione Sanità” di Napoli (per una presentazione dell’evento rimandiamo al nostro Magazine di sabato 13 aprile).
Manuela Camponovo