Il secondo appuntamento del ciclo Visioni in dialogo vede come protagonista Marc Augé, uno dei pensatori più significativi dell’antropologia contemporanea. Evento organizzato dall’Associazione “NEL. Fare arte nel nostro tempo”, l’incontro di ieri – come i successivi, che si protrarranno in primavera – è dedicato al tema delle metamorfosi. Questa prima rassegna di incontri si concentra in particolare sui fenomeni globali, gli impatti collettivi e gli interrogativi su possibili scenari.
È Cristina Bettelini (presidente dell’Associazione NEL) ad aprire la serata e a spiegare al folto pubblico, accorso per partecipare alla conferenza del noto antropologo, la scopo primario della sua associazione: contribuire a «rendere le persone soggetti e non soltanto oggetti del cambiamento». Qual è dunque la metamorfosi che sta subendo il mondo contemporaneo, il cambiamento epocale che sta affrontando? A offrirci ricchi spunti di riflessione è Marc Augé, la cui testimonianza è il frutto del lavoro di una vita: anni di studi e viaggi, dapprima condotti soprattutto in Africa (specie in Costa d’Avorio e Togo), in America del Sud, e infine in Occidente. Ed è dal confronto di queste differenti culture – come spiega il giornalista Roberto Antonini, responsabile dell’approfondimento culturale della Rete Due della RSI – che gli studi di Augé conducono a esiti straordinari: a lui dobbiamo l’idea del «non luogo» e della «surmodernità», concetti imprescindibili per comprendere la società attuale.
Con «non luoghi» si intendono quegli spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione. Strettamente connesso ai «non luoghi» e alla globalizzazione è la «surmodernità», effetto combinato di tre fattori – l’eccesso di tempo, spazio ed ego – responsabili dei principali paradossi della società moderna. La sovrabbondanza di avvenimenti, unita all’eccesso di informazioni, si risolve in una difficoltà di pensare il tempo. La sovrabbondanza di spazio si traduce nel restringimento del pianeta: le moderne tecnologie permettono, da una parte, di avere una nuova prospettiva sulla Terra, che appare improvvisamente infinitamente piccola, e dall’altra, di azzerare le distanze. Infine, l’eccesso di individualismo è la (paradossale) conseguenza di internet: lungi dal creare vere relazioni, produce nuove forme di solitudine.
Il ventunesimo secolo è inoltre caratterizzato dai movimenti migratori, che hanno delle cause circostanziali (violenza, guerre, povertà) e demografiche (l’aumento della popolazione). Queste migrazioni portano, da una parte, ad accentuare sempre più lo scarto tra i più ricchi e i più poveri, e, dall’altro – a causa degli innegabili problemi di organizzazione dello spazio –, sfociano in quei disordini che traducono la difficoltà della nascita di una «società planetaria». Augé ritiene che il nostro ideale non dovrebbe essere quello di un mondo senza frontiere, ma di un mondo nel quale tutte le frontiere siano riconosciute, rispettate e attraversabili, cioè un mondo in cui il rispetto delle differenze cominci con il rispetto degli individui.
Per pensare alle possibilità di futuro, conclude il famoso antropologo, c’è un modello, il pensiero scientifico, che promuove l’ipotesi come metodo, e si basa su due principi: pensare in rapporto agli scopi e comprendere che l’uomo, nella sua tripla dimensione, individuale, culturale e generale, è la sola priorità. Augé ci ha mostrato i problemi del mondo contemporaneo occidentale, tuttavia, Un altro mondo è possibile. Ed è con questo auspicio – che da il titolo al suo più recente contribuito (2017) – che appare opportuno concludere; in questo libro Augé scrive: «[…] La sola utopia valida per i secoli a venire e le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate è l’utopia dell’istruzione per tutti: l’unica via possibile per frenare una società mondiale ineguale e ignorante, condannata al consumo o all’esclusione e, alla fin fine, a rischio di suicidio planetario».
Lucrezia Greppi