Nadège Trebal, a Locarno72 in Concorso internazionale, ha studiato letteratura alla Sorbona prima di tentare la carriera da regista. Quando poi è approdata al dipartimento sceneggiatura a La Fémis ha iniziato a co-scrivere, in particolare accanto a Claire Simon, e in seguito ha realizzato due documentari per conto suo. E si vede, sullo schermo, quando guardiamo Douze mille, che Trebal viene dal documentario, o che comunque il reale rientra nel mirino dei suoi interessi.
Nel lungometraggio in Concorso internazionale a Locarno la regista francese si è sdoppiata: ne è anche, infatti, la coprotagonista, Maroussia, insieme con il tenebroso Arieh Worthalter, qui bravissimo a interpretare (Frank) un manovale rude, passionale (e neo licenziato) con l’aria da furbetto, per non dire ladro. E intelligente, uno di quelli che qualsiasi cosa gli capiti se la cava, e magari ne ricava anche un vantaggio, neanche piccolo, e suscitando anche episodi di emulazione tra i colleghi che subiscono il suo autentico magnetismo. Innamoratissimo della sua compagna, bella gitana e sessualmente ispirata, assai restio nello sradicarsi dallo stereotipo del maschio che porta a casa lo stipendio e si occupa della bella mogliettina tutta occhi e gambe e desiderio di essere posseduta, Frank decide che per riconquistare la dignità – miseramente smarrita col licenziamento – dovrà riprendere a guadagnare almeno quanto la sua amata, che di professione cura i bambini e tira su circa dodicimila euro l’anno.
E allora parte, il nostro bel macho innamorato, intraprende un viaggio di 700 Km e srotola sul letto quasi nuziale la promessa di tornare col gruzzoletto che coprirà le spese dei biberon e del loro matrimonio. La seduzione di Frank è esondante, e sconfina in tutti gli ambiti: è in grado di sedurre addirittura flotte di operai in pausa pranzo, e questo grazie a dei balletti, dei numeri comici che stanno sorprendentemente in piedi con la profonda autenticità e umanità di quest’uomo cui non è stato regalato alcunché.
Solo istinto e sregolatezza, ma non calcolati, non “chic”, quell’attitudine vera, che pagheresti cara pur di avere nel patrimonio genetico. Douze mille è dunque onestamente una storia d’amore, il racconto proletario (quindi poetico, non essendoci tentativi di edulcorazione) di due anime gemelle che tentano, al contempo, di essere sincere, di essere coraggiose e di essere grandi. La poesia sgorga proprio dall’imprecisione con cui l’essere umano concretizza i suoi intenti più alti: le brutture di cui si rende complice (furti, bugie, ego che scalpitano…) non fanno che aggiudicargli il consenso del pubblico, che in questi personaggi tutti corpo, sangue e intuito si identificano (o vorrebbero identificarsi). Il coté politico attraversa il film nella forza violenta delle tre tematiche rappresentate: sessualità, sfruttamento e denaro.
Margherita Coldesina