Come viaggiatrice e titolare di una rubrica di viaggi non posso evitare di soffermarmi sul fallimento della Cook di cui hanno parlato tutti i media negli ultimi giorni. Perché questa triste conclusione ci riporta alla storia del turismo che abbiamo poi definito di “massa”, le cui origini sono state nutrite di nobili ideali, di filantropico altruismo. Tempi eroici e pionieristici se pensiamo alle successive derive.
Prima dell’iniziativa di Thomas Cook, viaggiare richiedeva tempo e denaro ed era un’attività riservata alle classi agiate, come il Grand Tour di formazione per i giovani rampolli, oppure a scrittori, artisti e intellettuali, a spiriti avventurosi che potevano mettere in gioco persino la propria vita. Questo inglese ex predicatore battista, nato nel 1808, si rendeva conto dei mali che affliggevano la società del suo tempo e, in particolare, i lavoratori, maltrattati, pagati una miseria e che trovavano nell’alcool l’unica consolazione alle proprie pene. Sognatore, immaginava di migliorare le condizioni di questo afflitto proletariato attraverso, certo, l’istruzione ma anche offrendo una pausa di svago e spensieratezza dai ritmi disumani dell’industrializzazione. Durante un incontro della Temperance Society, organizzazione religiosa di cui faceva parte, Cook maturò l’idea di un treno speciale (eh, sì, il primo viaggio di massa fu ferroviario) per portare non solo i soci da Leicester a Loughborough, un tratto di 20 chilometri, ma anche 570 lavoratori che pagarono un simbolico scellino per la terza classe scoperta. Una gita campestre il cui pacchetto comprendeva anche il pranzo e uno spettacolo di gala. Al progetto aderì la Compagnia ferroviaria. Era il 5 luglio del 1841. Cook passò così alla storia come il primo agente di viaggio. Fu un clamoroso successo che venne ripetuto per tre estati. L’imprenditore non ci guadagnò nulla in termini di denaro, ma la soddisfazione di aver fatto provare per la prima volta il treno a tante persone.
Cook non si fermò qui, nel 1845 aggiunse escursioni facoltative in battello da Liverpool allo stretto di Menai, facendo pagare 15 scellini in prima classe e 10 in seconda. In più veniva fornito un manuale gratuito che descriveva il percorso. Era nata la prima “guida turistica” pratica, seguita poi da un giornale, il Cook’s Exhibition Herald and Excursion Advertiser, che, diventato nel 1902 The Traveller’s Gazette, continuerà a essere pubblicato fino al 1939. Cook con le sue idee innovative raggiunse il Continente nel 1855, accompagnando un treno di inglesi all’Esposizione Universale di Parigi. Il prezzo corrispondeva a poco più della paga settimanale di un operaio.
Dal 1863 fu anche l’artefice divulgativo della moda di alcune mete turistiche già designate dall’élite: le Alpi svizzere, le città d’arte italiane, Firenze, Roma, Napoli. Nel 1865 l’apertura a Londra della prima agenzia, fino ad arrivare a quello che oggi si chiama “voucher”, tagliandi con cui pagare alberghi e ristoranti. Iniziarono anche i tour esotici, la prima crociera sul Nilo (1869), il giro del mondo dal 1872: in treno attraverso gli USA e navigazione fino in Giappone, poi Cina, India, Egitto, Turchia, Grecia, Italia, Francia, 222 giorni di viaggio, una impresa se si pensa a quei tempi. L’attività proseguì con il figlio, ma quello fu il principio.
Si sa come si sono sviluppati gli eventi, in particolare dal secondo dopoguerra, con il boom economico, il trasporto aereo alla portata di (quasi) tutti. Non c’è angolo del pianeta che non sia stato offerto a questa ondata di neo colonizzatori con effetti di ricchezza e speculazione, ma anche devastanti per gli abitanti locali, per l’ecosistema e l’inquinamento. Inoltre, il viaggio a pacchetto e tour organizzato, diventando un’abitudine, ha tolto molto alla sorpresa, alla curiosità e iniziative individuali, al voler conoscere e all’incontro con l’altro.
Ed ora siamo in fase di ripensamento. La Compagnia Cook non è fallita solo per colpa della Brexit, stanno cambiando la mentalità, la sensibilità.
Il turista di oggi, soprattutto quello più giovane, con l’avvento anche dell’online e con l’esperienza di numerosi tour organizzati nel passato a cui magari hanno preso parte i genitori o i nonni, è più indipendente e pensa che il cosiddetto “fai-da-te” renda il viaggio più libero e, spesso, più economico. Piuttosto che affidarsi a pacchetti preconfezionati, a percorsi organizzati nei minimi particolari, cerca di riandare alle origini, perdendo in sicurezza e comfort, ma guadagnando in scoperta e ricerca. Per sopravvivere le agenzie allora si adattano proponendo pseudo avventure (ma tutte calcolate), rischio compreso, pacchetti su misura per clienti sempre più esigenti. Nasce così anche il turismo estremo. Un esempio? La russa Armiya Tur per 3000 rubli pubblicizza la possibilità di entrare per 48 ore letteralmente nei panni di una recluta di addestramento militare russo con la guida di veterani della guerra in Cecenia! Ci sono i corsi di sopravvivenza, i tour nell’orrido, su luoghi di tragedie, o nei posti più pericolosi del mondo per chi ha bisogno di avventure adrenaliniche, a costo di lasciarci la pelle (potrebbero anche organizzare dei rapimenti nel deserto, veri o falsi non importa. La stupidità umana è senza confini, come il turismo).
Intanto per le “vittime” della Cook, lo stato britannico ha organizzato il rimpatrio di massa più colossale che ci sia mai stato in tempo di pace. Noi non possiamo che augurare ancora tanti viaggi, ma fatti con passione e ragione, cuore e cervello!