Quanto può sopravvivere un partito che si fonda su un “Vaffa”? Qualche segnale di inesorabile declino è già arrivato l’altro giorno dalle elezioni regionali in Umbria ed Emilia Romagna, dove è stato confermato il trend verso l’insignificanza. Ma è probabile che una risposta ancor più chiara giunga nei prossimi giorni dall’assemblea del Movimento 5 stelle che il 23 e 24 novembre si riunirà a Roma con l’obiettivo di cambiare regole e statuto, e magari pure nome e simbolo al partito fondato dal comico Beppe Grillo nel 2009.
Il piccolo Cesare genovese, tradito dai suoi, rischia così di essere metaforicamente pugnalato dal suo figlioccio Giuseppe Conte nei panni dall’ancor più piccolo Bruto. In realtà, il Movimento 5S ha già da tempo cambiato volto, presentandosi oggi come una pessima copia rispetto alle origini che non ricorda più nessuno. A richiamarle ci ha pensato Marco Morosini, docente di politica ambientale al Politecnico Federale di Zurigo (ETH). Nato a Milano ma ormai zurighese a tutti gli effetti, ha recentemente ricordato sul quotidiano italiano Avvenire i valori “eco-sociali” alla base del partito al momento della sua fondazione.
Questo scienziato e ricercatore, ormai settantaduenne, è stato in realtà l’autore dei testi dei monologhi che Grillo esibiva nei suoi spettacoli, ma soprattutto è stato il principale ispiratore del programma del “partito antipartito” pentastellato. Un programma ispirato al modello sociale ed economico svizzero che può essere riassunto, secondo Morosini, in una sola parola: meno. Che si trasforma nella trilogia “meno energia, meno materiali, meno lavoro”.
In un Paese come l’Italia che, tra quelli industrializzati, «è al primo posto per cemento, automobili e telefonini, ma tra gli ultimi per la felicità dei suoi abitanti» se si adottassero le strategie dello sviluppo sostenibile elvetico, diceva il Grillo delle origini su suggerimento di Morosini, si sarebbero potuti raggiungere i tre obiettivi auspicati: meno consumi, meno roba, meno fatica. «Oggi consumiamo per poter vendere, vendiamo per poter produrre, produciamo per poter lavorare. Spendiamo miliardi in pubblicità per convincere persone che non ne hanno i mezzi a comprare cose di cui non hanno bisogno».
Morosini suggeriva – da competente docente al Poli di Zurigo – di dimezzare l’energia come deciso dal popolo svizzero nel 2017 quando, il 21 maggio, il 58% dei votanti scelse il “sì” nel referendum sulla Legge sull’energia, che mirava a ridurre del 43% l’uso di energia finale entro il 2035; l’uso di combustibili fossili; ad aumentare fortemente l’uso di energie rinnovabili; a dismettere i cinque reattori atomici.
Sempre Morosini faceva dire a Grillo che era necessario dimezzare i materiali: l’idea guida della “economia circolare”, formulata dagli anni ’70 dal tecnologo zurighese Walter Stahel mirava al dimezzare l’uso di materie prime pro capite. Celebre, durante uno dei suoi spettacoli, l’esempio portato dal comico dello spazzolino da denti, all’epoca in vendita in Svizzera, con la testa rimovibile, così da non dover gettare via ogni volta l’intero oggetto.
E poi, la riduzione del tempo di lavoro, indicando per il 2050 il raggiungimento dell’obiettivo di una settimana lavorativa media di 30 ore, oltre ad altre riduzioni del tempo dedicato al lavoro retribuito, che avrebbero così portato a 40 mila ore di lavoro salariato in una vita invece delle attuali 80 mila.
In Italia, nonostante il Movimento 5 stelle abbia toccato il 33% dei voti nel 2018 e partecipato a tre governi, nessuno di questi obiettivi è entrato nel suo programma o anche solo si è lontanamente avvicinato al traguardo. Nel frattempo, infatti, il partito aveva cambiato pelle.
La vocazione eco-sociale, secondo Morosini, veniva «man mano messa in secondo piano dall’altra anima del Movimento, dovuta alla gestione Casaleggio, quella populista, anti-politica, spesso volgare (“vaffa”….) e denigratoria. Fu quest’ultima a trasformare un movimento minoritario in un partito di massa». Un modello che anche in Ticino conosciamo bene, e che in Italia ha snaturato completamente il movimento originario trasformandolo in un partito omologato, risucchiato dalle logiche di scontro ideologico che dettano l’agenda della politica italiana. E così, anche “la gente” scelta tra il popolo della rete e gestita da una ditta informatica, una volta occupata la vellutata poltrona del parlamento italiano si è abbarbicata ad essa cercando di non mollarla.
E poco importa del fondatore, degli ideali, dei valori ecologici e sociali. A Grillo vien dato il benservito. Chi di “vaffa” colpisce, di “vaffa” perisce.
E il modello elvetico tanto osannato dal guru di Grillo? La Svizzera può ancora definirsi un modello come lo era nel 2008 quando Beppe Grillo ispirato dal suo mentore lanciò la sua campagna? Paradossalmente ciò che il professor Morosini aveva ammirato insegnando sulle rive dalla Limmat comincia a mostrare limiti e crepe.
In campo energetico, la Svizzera è ancora lontana dal suo obiettivo di riduzione delle emissioni del 43%, ferma com’è al 24%. Nel frattempo si raddoppiano le autostrade, si rimettono in discussione le energie rinnovabili e si propone la costruzione di nuove centrali atomiche.
Nel campo della sostenibilità, nonostante la Svizzera si sia concentrata sul miglioramento delle pratiche di riciclaggio e sul passaggio a un modello di economia circolare, i materiali attualmente riciclati coprono solo una piccola percentuale (circa il 14%) della domanda totale. Il consumo di materiali è cresciuto significativamente negli ultimi 15 anni. Nel 2018, il consumo interno era di circa 87 milioni di tonnellate all’anno, incluse le risorse necessarie per vari settori come l’edilizia, la mobilità e i beni di consumo. I flussi di materiali sono aumentati a un tasso medio di circa l’1,6% all’anno. Infine, in termini di ore di lavoro (lavorare meno per lavorare tutti…) nulla è cambiato. E chi in Europa, come in Francia, ha messo in atto la settimana di 35 ore sta ora facendo un’improvvisa retromarcia reclamando una maggiore produttività.
Il 23 e 24 novembre si giocherà l’ultimo atto. Il partito digitale sarà un’altra cosa. È il destino al quale vanno incontro i movimenti che nascono attorno a un leader carismatico e che senza di lui perdono la bussola. È il destino di quei partiti che si fondano sui “Vaffa” o su volgari attacchi personali, riducendo la politica a mera occupazione del potere. «È come se – conclude amaro Morosini – sulle alte pendici del K2, brancolando nella nebbia, un pugno di alpinisti italiani non ricordasse quale vetta voleva raggiungere e rischiasse l’assideramento, litigando (“né di destra né di sinistra”) sul verso delle cerniere lampo delle giacche a vento».
Luigi Maffezzoli