La crisi globale ed epocale della democrazia
Il 2024 era annunciato come “anno delle elezioni” in quanto più della metà della popolazione mondiale è chiamata alle urne. Giustamente non è stato definito l’“anno della democrazia”, perché mai come oggi stiamo vivendo un periodo di “post-democrazia”, in cui lo svolgimento di elezioni non è affatto un indice affidabile della cultura democratica di un Paese. Proprio questa settimana ci dà una fotografia emblematica della situazione.
La settimana è iniziata con il risultato delle elezioni russe, che hanno riconfermato Putin con l’87,3% dei voti, con un’affluenza altrettanto da “record” del 77,4%. Repressione e intimidazione sarebbero state determinanti, come ha riassunto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Josep Borrell, per cui l’UE non le ha riconosciute e la Francia ha denunciato il fatto che sarebbero state organizzate anche nei territori ucraini occupati, violando il diritto internazionale dei popoli e la Carta delle Nazioni Unite. Cancelliere e Presidente tedeschi non hanno espresso le congratulazioni di rito.
Martedì, con la votazione unanime di 89:0 voti, il parlamento locale di Hong Kong ha adottato la nuova legge sulla sicurezza, sancendo probabilmente la fine definitiva, dopo appena la metà dei cinquant’anni concordati, dei “due sistemi” nel Paese: prevista certamente già nella “costituzione” del 1997, nel 2003 una prima versione di tale legge è stata accantonata per le proteste della popolazione. Nel 2019 Pechino ha poi imposto una tale legge per rispondere alle manifestazioni di massa – e apparentemente essa è efficace al punto tale di aver impedito proteste simili questa settimana. La versione odierna prevede infatti punizioni severe per azioni ritenute pericolose per la sicurezza nazionale: il solo possesso di scritti in favore dell’indipendenza di Hong Kong è sanzionato con anni di reclusione. Insieme ad altre misure, tra cui le competenze d’indagine allargate per la polizia, la nuova legge realizza ora l’intenzione antidemocratica di far tacere l’opposizione.
Quasi in concomitanza – e dunque come conferma di queste sconfitte per la democrazia – è uscito in settimana lo studio della fondazione Bertelsmann sullo “stato di salute” della democrazia nei 137 Paesi «in via di trasformazione»: si constata che le autocrazie (74) hanno ormai superato le democrazie (63). Mai come oggi negli ultimi vent’anni la democrazia è stata così in diminuzione tra i Paesi emergenti e in via di sviluppo. Comunque, accanto agli esempi negativi, specialmente dopo i golpe in Burkina Faso, Mali e Myanmar, si notano anche segni di speranza di democrazie rafforzate con il consolidamento dello Stato di diritto negli Stati baltici, in Corea del Sud, Taiwan o Uruguay, mentre in Polonia, nella Repubblica Ceca e in Slovenia continua il miglioramento della qualità democratica dal 2006.
Di fronte a questo quadro, c’è da sperare nella resistenza delle democrazie occidentali e delle loro società civili contro la potenza dissolutrice delle fake news e le nuove polarizzazioni: anche perché lo stesso studio ha dimostrato che le democrazie non sono per nulla meno efficienti. Anzi, per il loro alto grado di corruzione e disorganizzazione, l’eccezione sono in realtà le autocrazie efficienti.
Markus Krienke