Astronomia

La dinamica dell’universo non è quella prevista

Grazie alle osservazioni del telescopio Mayall, in Arizona, una collaborazione internazionale di 900 ricercatori ha scoperto che la dinamica dell’universo non è quella prevista. Questo risultato, in attesa di conferma, entusiasma il mondo della cosmologia.

Il telescopio Mayall del progetto DESI, situato in Arizona

Il telescopio Mayall del progetto DESI, situato in Arizona

La cosmologia potrebbe essere sull’orlo di una scoperta importante, che obbligherebbe a una profonda revisione della storia dell’universo sin dal Big Bang. Il motore che guida l’espansione dell’universo sembrerebbe avere delle anomalie e non sarebbe affatto come i fisici lo avevano immaginato. Infatti, contro ogni aspettativa, l’universo starebbe conoscendo un rallentamento nell’accelerazione della sua espansione.

Dalla fine degli anni ‘20, gli astronomi sanno che le galassie si stanno allontanando dalla nostra. Come un palloncino che si gonfia, l’universo ha continuato a espandersi dalla sua dimensione microscopica, circa 14 miliardi di anni fa, fino all’immensità attuale.

Dal 1998, gli scienziati hanno stabilito che questa espansione sta accelerando, mentre in precedenza si pensava che, a causa della reciproca attrazione tra le galassie, il “palloncino” avrebbe dovuto rallentare la sua espansione. Questa scoperta ha portato al conferimento del Premio Nobel nel 2011 agli astronomi che hanno osservato le supernovae, stelle in esplosione, che sono state usate come riferimenti cosmici per misurare le velocità di espansione. Inoltre, ha confermato l’esistenza di un misterioso motore, denominato “energia oscura”, che si oppone al collasso della materia sotto il proprio peso. La sua natura rimane sconosciuta, nonostante si stimi che rappresenti oltre i due terzi del contenuto totale dell’universo.

“Il tema più caldo del momento”

Mercoledì 19 marzo, durante una conferenza della Società Americana di Fisica in California, una collaborazione internazionale di 900 ricercatori, denominata “DESI” e guidata dal Lawrence Berkeley National Laboratory (California), ha contribuito a fare luce – ma anche a complicare – questo mistero. Grazie al telescopio Mayall (Arizona), il team ha analizzato la posizione di 15 milioni di galassie nel cielo. Le più lontane si trovavano a 11 miliardi di anni luce. Lo strumento cattura 5.000 immagini di galassie alla volta, ogni venti minuti, per realizzare una mappa tridimensionale del cosmo e dedurre la sua crescita.

Nonostante le apparenze, a una determinata distanza, le galassie non si dispongono in modo casuale. La loro posizione è in realtà legata alle concentrazioni originarie di materia, risalenti a circa 380.000 anni dopo il Big Bang. Questa impronta primordiale influenza la distribuzione delle galassie, formando una distanza caratteristica che funge da unità di misura. “Studiamo, in un certo senso, la dimensione di un segmento disegnato su un palloncino che si gonfia”, spiega Christophe Yeche, ricercatore presso il Commissariato per l’energia atomica e le energie alternative (CEA). “L’evoluzione di questa dimensione nel tempo ci fornisce informazioni sul tasso di espansione del palloncino cosmico.”

Il problema nasce quando queste misure vengono confrontate con quelle di altri esperimenti, in particolare quelli basati sulle supernovae. Queste ultime rappresentano un altro strumento di riferimento spazio-temporale che permette di valutare velocità e accelerazioni dell’universo in espansione. Il confronto rivela una discrepanza con la teoria, con una probabilità inferiore allo 0,3% che si tratti di un caso. Anche se questa percentuale può sembrare bassa, per parlare di una scoperta scientifica sarebbe necessario che tale probabilità fosse quasi 10.000 volte inferiore.

L’entusiasmo, tuttavia, è palpabile. “Restiamo prudenti, ma sembra promettente”, afferma Christophe Yeche. “È chiaramente il tema più caldo del momento in cosmologia”, aggiunge Théo Simon, cosmologo del CNRS presso l’Università di Montpellier, che non fa parte della collaborazione.

L’eccitazione nasce anche dal fatto che i primi risultati, ottenuti un anno fa con meno dati, indicavano già questa tendenza. Inoltre, per questa nuova analisi sono stati utilizzati diversi indicatori di natura fisica diversa, come nuove supernovae, le galassie e persino la prima immagine dell’universo, il fondo cosmico a microonde. Un altro elemento di fiducia è la ri-analisi dei dati del predecessore di DESI, SDSS, pubblicata il 6 marzo in preprint e co-firmata da Théo Simon, che conferma un forte indizio di rallentamento dell’accelerazione, altrettanto solido quanto quello di DESI.

“Una fisica sconosciuta”

Se questa scoperta fosse confermata, aggiungerebbe un nuovo capitolo alla già complessa storia dell’energia oscura. Nel 1917, Albert Einstein mostrò che le sue equazioni della relatività generale prevedevano un universo in espansione, il che lo sconvolse: aggiunse quindi un termine costante al suo modello per ottenere un universo statico. Dieci anni dopo, Georges Lemaître ed Edwin Hubble dimostrarono che l’universo è effettivamente in espansione. La “costante cosmologica” introdotta da Einstein venne abbandonata, per poi riapparire nel 1998 dopo le osservazioni delle supernovae che documentavano un’accelerazione dell’espansione. Oggi, con i dati di DESI, sembra che la costante cosmologica non sia più costante, ma variabile nel tempo. “Se i nostri risultati saranno confermati, mostrano che l’accelerazione era leggermente più forte 7 miliardi di anni fa e che sta diminuendo da circa 2,5 miliardi di anni”, riassume Arnaud de Mattia, ricercatore del CEA.

“Questa è un’ottima notizia per i teorici. L’energia oscura non si riduce più a una costante: cela una dinamica, quindi una fisica ancora sconosciuta”, afferma Philippe Brax, ricercatore del CEA presso l’Istituto di fisica teorica, non membro di DESI. Nel 2024, i primi indizi forniti da DESI hanno dato origine a centinaia di preprint che propongono interpretazioni. Molte di queste appartengono alla famiglia delle teorie della “quintessenza”, che prevedono l’esistenza di nuove particelle. Sono dello stesso tipo di quelle che spiegano due fenomeni fondamentali: l’origine della massa delle particelle, grazie al bosone di Higgs, e l’inflazione, il processo che ha fatto espandere rapidamente l’universo subito dopo il Big Bang. Tuttavia, sebbene possano “spiegare” i risultati, non chiariscono ancora la fisica sottostante né i legami con le altre particelle della natura.

Altre teorie propongono invece modifiche alla relatività generale o ipotizzano un legame tra energia oscura e materia oscura, l’altra grande incognita del cosmo…

La priorità ora è confermare questi risultati intriganti. DESI analizzerà nuovamente i propri dati con il metodo utilizzato da Théo Simon e aumenterà il volume delle osservazioni fino a 40 milioni di galassie. Anche i gruppi di ricerca sulle supernovae dovranno fornire nuove misurazioni. Il telescopio spaziale Euclid, che proprio mercoledì 19 marzo ha presentato i suoi nuovi risultati, valuterà anch’esso l’accelerazione dell’Universo utilizzando una metodologia simile e altri riferimenti. Tra uno o due anni, la risposta definitiva dovrebbe arrivare.

Per Pauline Zarrouk, cosmologa presso il Laboratorio di fisica nucleare e alte energie (Sorbonne Université) e membro di DESI, “potrebbe essere la fine della costante cosmologica e l’inizio di una migliore comprensione dell’energia oscura”. (Fonti: DESI, Le Monde)

In cima