Si può pensare che per un attore la lettura a leggìo richieda meno impegno rispetto ad una interpretazione scenica: non deve imparare a memoria la parte, posizionarsi nello spazio, trovare la giusta dialettica con gli eventuali compagni d’avventura ecc… In realtà affidarsi totalmente alla voce, con il supporto minimo dell’espressività corporea, richiede un talento non comune, applicato spesso a testi narrativi, nel dare il giusto tono all’autore nei passaggi descrittivi e ai vari personaggi, senza rischiare di cadere, da una parte, nella monotonia, dall’altra nella caricatura, nel macchiettismo. È questa una pratica, il recital, che Emanuele Santoro ama molto (e pensiamo non solo per l’economicità dell’operazione) e in cui è anche molto bravo. La inserisce sempre nella sua stagione de Il Cortile con proposte e riproposte anche se in tempi di spettacolarizzazione come questi non sempre viene capita e apprezzata. Però ci aiuta a tornare all’origine di quel racconto che, nell’oralità, acquista ancora più spessore e significanza.
Se ne è avuta una prova ieri sera con un classico (anche scolastico) della novellistica (ma poi trasformato in testo teatrale), La giara di Pirandello, un concentrato tragicomico di caratteri e difetti dell’umanità che peraltro discende da una tradizione antica come quella greca ad esempio. L’importanza estrema data al possesso delle cose, di verghiana memoria, all’orgoglio offeso, la predisposizione alla litigiosità, spingono ad atteggiamenti di assurda cocciutaggine e grottesca stupidità. L’oggetto in questione, appartenente ad una perduta civiltà contadina, che molti non sapranno oggi neppure riconoscere, è un simbolo, potremmo sostituirlo con un cellulare o un’auto nuovi di zecca, il proprietario se ne identifica, coccola la sua giara che appare come una creatura viva, la vorrebbe proteggere, difendere, quasi come una parte di sé. Poi quando succede il dramma, amplificato dall’umorismo pirandelliano che fa la parodia di una tragedia… greca appunto, per ottenere il massimo effetto, cioè quando la giara si rompe, il proprietario pretende di insegnare il mestiere all’artigiano che deve ripararla, il quale a sua volta, inghiottendo l’umiliazione, esegue quanto richiesto, con tale rabbia da perdere anche lui la ragionevolezza ed infilarsi, è il caso di dirlo, in un bel guaio, cioè nella giara stessa, senza più poterne uscire. Alla fine a rimetterci sarà la giara che finirà a pezzi irrimediabilmente e l’ostinazione di don Lolò. Così va il mondo, ai tempi di Pirandello e ancora oggi.
Accanto a Santoro, a creare un dialogo sonoro, canoro e musicale, a ritmare i tempi, a dare sensazione alla coralità, perché questo è un racconto anche corale, al quale partecipa il mondo contadino con la sua curiosità, l’ironia, le risate, l’occasione di fare la festa al padrone… c’è Roberto Albin con la sua chitarra e gli “stornelli” del folclore siciliano. Santoro dal canto suo sa dare il giusto colore alle parole, quelle dello stesso Pirandello, dei due protagonisti e dei contadini che commentano la farsa. Poca gente (ma buona, osserverebbe l’attore-regista), ma oggi si replica alle ore 17. Da non mancare per passare una gustosa ora. Il prossimo appuntamento con la stagione de Il Cortile di Viganello sarà a gennaio, 12 e 13, per Caligola(s)concerto.
Manuela Camponovo