«Leonardo Sciascia è stato uno scrittore e intellettuale siciliano, italiano, europeo e fra i più lucidi e impietosi anticonformisti del Novecento». Così Corrado Bologna, nella conferenza rientrante nel ciclo di incontri Archivi del Novecento – organizzato dall’Istituto di Studi Italiani in collaborazione con RSI Rete Due – ha introdotto ieri la figura di Sciascia, facendo intendere che nello scrittore erano presenti due tendenze: l’ispirazione regionale, provinciale e locale legata al luogo d’origine, e la necessità di collegare questa ispirazione con la cultura nazionale ed europea.
Nato a Racalmuto (Agrigento), Sciascia spesso parlava di “sicilitudine”, una sorta di categoria ontologica da lui introdotta volta ad indicare il suo essere siciliano “irrimediabilmente”: la Sicilia – ha commentato Bologna – è per lui “grembo” e “trappola” cui è inestricabilmente legato. Lo scrittore, che per tutta la vita ha indagato e raccontato la realtà sicula in tutti i suoi aspetti, presto comprese che i miasmi socio-antropologici e politici propri della Sicilia si erano propagati in tutto il paese (lo specificherà ne Il giorno della civetta, del 1961).
Di lui Moravia scrisse che mentre gli illuministi partivano dall’oscurità per arrivare alla luce, Sciascia partiva dalle cose visibili per penetrare nei meandri oscuri del potere (Corriere della Sera, 1989). La sua decisa presa di posizione contro la mafia lo rese uno degli intellettuali più influenti e stimati del periodo, ma non gli furono risparmiate critiche da parte di chi voleva celare quella oscura realtà che Sciascia mise in luce, senza compromessi.
Nei suoi saggi-romanzi, e nei suoi racconti-inquisizioni lo scrittore intreccia storia e scrittura, razionalità e ambiguità, verità e falsificazione, gusto per il “giallo” e polemica sociale-politica, “sicilitudine” e “mafia”. In particolare, Bologna ha ricordato Il Consiglio d’Egitto (1963), Il contesto: una parodia (1971), L’affaire Moro (1978), e I professionisti dell’antimafia (1987), l’articolo apparso sul Corriere della Sera, nel quale Sciascia accusava alcuni magistrati palermitani di aver usato la battaglia per la rinascita morale della Sicilia per fare carriera.
Il filologo si è poi soffermato sull’influenza di due importanti scrittori italiani su Sciascia: Pirandello e Manzoni. L’influenza del primo è ravvisabile in diverse opere dello scrittore siculo, quali, Pirandello e il pirandellismo (1953), Pirandello e la Sicilia (1961), La corda pazza (1970), ove si richiamava al Berretto a sonagli di Pirandello (1916), ed Alfabeto pirandelliano (1989).
Per quanto riguarda Manzoni, Sciascia, oltre a fare la prefazione ad un’edizione della Storia della colonna infame (1973), scrive il saggio Goethe e Manzoni (contenuto in Cruciverba, 1983), ove definiva i Promessi Sposi come «un’indagine lucidissima sulla società italiana», quella ottocentesca e quella moderna, colta nei violenti Bravi, nel vile ma vincente Don Abbondio, negli sbirri che portano rispetto ai prepotenti e «nelle coscienze che facilmente si acquietano». Inoltre, in un articolo del Corriere della Sera (1985), ricordando l’ottavo capitolo dei Promessi sposi, Sciascia riflette sul labile confine tra oppressori e vittime. Il ricordo di Manzoni, e delle splendide pagine del suo romanzo, aleggiavano nella mente dell’intellettuale siciliano già al momento della composizione de Le parrocchie di Regalpetra (1956); in effetti, quando Sciascia afferma, a proposito di un personaggio ucciso da un colpo di carabina, che «il barone grande non riuscì a togliergli quel colpo» sembra infatti richiamarsi al sesto capitolo dei Promessi Sposi, ove Agnese afferma «è come lasciar andare un pugno a un cristiano […] né anche il papa non glielo può levare».
Infine, per rilevare la molteplicità di temi contenuti nell’opera, Bologna ha evocato il passo in cui Sciascia, assiste, stupito, alla presenza delle lucciole nella sua stanza, a quelle che erano dette in Sicilia “le candeline del pecoraro”, e che fanno questa volta pensare all’articolo di Pasolini apparso sul Corriere della Sera nel 1975. Passato alla storia con il titolo L’articolo delle lucciole, è una sorta di lamento funebre sul momento in cui, in Italia, scomparirono le lucciole, quei segnali umani dell’innocenza annientati dalla notte – o dalla luce “feroce” dei riflettori – del fascismo trionfante.
Così si è concluso il magistrale intervento di Corrado Bologna, arricchito dalle interviste fatte all’epoca a Leonardo Sciascia, appartenenti alle teche RSI. Archivi del Novecento si riconferma così un’occasione unica per conoscere meglio gli autori novecenteschi, e che invitiamo tutti a cogliere negli prossimi appuntamenti, che proseguiranno nel mese di maggio.
Lucrezia Greppi