Commento

La nuova guerra ibrida: come le autocrazie sfidano l’Occidente

Nel suo La nuova guerra contro le democrazie (Rizzoli 2024), Maurizio Molinari analizza come i regimi autocratici rappresentino una minaccia per l’Occidente nel loro tentativo di sovvertire l’ordine internazionale tramite la guerra ibrida. L’autore identifica cinque aree critiche di un conflitto che contrappone l’Occidente democratico alle potenze autoritarie: la Russia di Vladimir Putin, la Cina di Xi Jinping e la Repubblica islamica dell’Iran. Molinari evidenzia come la guerra in Ucraina, il conflitto in Medioriente e le tensioni nello stretto di Taiwan siano parti interconnesse di un disegno più ampio. L’obiettivo è mettere l’Occidente sulla difensiva, minarne la stabilità e provocarne il collasso interno, per poter ridisegnare l’architettura della sicurezza internazionale a proprio vantaggio. Questo non significa i tre paesi sopra siano alleati o condividano una visione comune del mondo. Piuttosto, convergono nell’obiettivo di porre fine alla supremazia geopolitica delle democrazie liberali.

La difficoltà nel formulare una risposta efficace occidentale deriva dalla mancanza di consenso interno ai singoli Paesi democratici sulla natura di questa guerra d’attrito. Prevalgono infatti tendenze nazionaliste, isolazioniste e populiste che tendono a ignorare o minimizzare queste minacce. Mosca conduce quella che la NATO definisce infiltrazione maligna in Europa e Stati Uniti, mirando a esacerbare tensioni sociali e conflitti di ogni tipo, in particolare attraverso il sostegno alle forze antisistema. In Medio Oriente, l’Iran guida la guerra d’attrito contro le democrazie. Se in Europa il fronte caldo russo si concentra sull’Ucraina, qui il bersaglio è Israele. Hamas, Hezbollah e Houthi sono accomunati dall’essere stati creati, addestrati e finanziati dall’Iran. Xi è il più strategico protagonista di questa guerra d’attrito e intende minare il primato economico americano, tramite investimenti sulla Nuova via della seta, lo sfruttamento delle miniere africane e gli accordi economici nel Pacifico.

Nel primo capitolo, Molinari racconta dell’Europa. La strategia di Mosca si basa sul principio del logoramento del nemico, cercando di ottenere vantaggi strategici attraverso l’erosione delle capacità di resistenza dell’avversario. Il fallimento dell’avanzata verso Kiev ha evidenziato come l’esito del conflitto dipenda dalla disponibilità di risorse da parte dei contendenti. La cultura militare russa, forgiata da secoli di conflitti, si caratterizza per la capacità di sopportare enormi sacrifici. Putin giustifica le sue azioni facendo leva sul presunto legame culturale e storico con i territori contesi, presentandosi come protettore della popolazione russofona al di fuori dei confini nazionali. L’azione destabilizzante russa nei territori NATO si manifesta attraverso una serie di operazioni di sabotaggio. Parallelamente, si sviluppa una costante offensiva russa sui social media. Le istituzioni europee sottolineano come la disinformazione richieda una risposta coordinata da parte dell’UE e della NATO.

Per Mosca, l’Africa rappresenta un’estensione naturale dello scacchiere europeo, con una strategia che mira al controllo dei flussi migratori verso l’Europa. La presenza russa nel continente si articola attraverso una penetrazione economica basata su investimenti strategici in miniere di oro, bauxite e diamanti. L’obiettivo è diventare un elemento di disturbo per la NATO, costringendola a dividere le proprie risorse tra il fronte europeo e quello africano. La Russia impiega simultaneamente diverse tattiche. Dall’utilizzo di compagnie militari private alla costruzione di basi militari convenzionali, fino alla diffusione di disinformazione attraverso vari canali mediatici. La strategia russa si è rivelata efficace nell’alimentare il sentimento antifrancese, diffondendo attraverso piattaforme digitali una narrativa anticoloniale che enfatizza le responsabilità storiche di Parigi. Parallelamente, la Cina persegue una strategia ibrida di penetrazione in Africa lungo quattro direttrici: multilateralismo, accordi militari, investimenti nell’informazione e sviluppo della Nuova via della seta.

Pechino considera il Sud globale come elemento centrale di un nuovo ordine mondiale multipolare, obiettivo perseguibile attraverso il rafforzamento dei legami con il maggior numero possibile di nazioni africane. La scelta di Gibuti come avamposto strategico riflette una precisa visione geopolitica. La strategia cinese include anche un massiccio programma di formazione, con oltre duemila funzionari di polizia e forze di sicurezza africane addestrati nelle accademie. L’obiettivo di Xi è trasformare la percezione del modello cinese in Africa. Capitolo Israele: l’attacco di Hamas del 2023 è un punto di svolta nella storia del terrorismo islamico. L’operazione riflette la strategia iraniana di ostacolare un potenziale accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita. L’attacco si è caratterizzato per una violenza sistematica e premeditata: dall’uccisione indiscriminata di civili, ai rapimenti di uomini, donne e bambini.

Hamas, la cui ragion d’essere è la distruzione d’Israele, ha dimostrato la capacità di portare il terrore nel cuore della società israeliana, eludendo per mesi i sofisticati sistemi di sorveglianza. La preparazione dell’attacco, protrattasi per mesi eludendo la sofisticata sorveglianza elettronica israeliana, rivela il piano iraniano di innescare un conflitto nella Striscia di Gaza capace di destabilizzare l’intera regione. Putin ha colto l’opportunità per aprire un nuovo fronte di confronto con gli Stati Uniti e l’Occidente, descrivendo gli eventi come il risultato del sistema neocoloniale delle relazioni internazionali. Il sostegno russo a Hamas si è manifestato attraverso il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, impedendo la condanna dell’attacco del 7 ottobre. La strategia del Cremlino di utilizzare il fondamentalismo islamico si intreccia con l’ondata di antisemitismo che sta emergendo in Occidente.

Il parallelo tra la situazione dell’Ucraina e quella di Israele è evidente. Entrambe sono democrazie che si trovano a fronteggiare il tentativo russo di ridisegnare con la forza l’architettura della sicurezza globale a proprio vantaggio. Il vuoto di potere creato dal ritiro della NATO dall’Afghanistan e il conseguente ritorno dei talebani hanno ricreato condizioni favorevoli per le operazioni jihadiste. Inoltre, nella guerra di logoramento contro le democrazie, l’antisemitismo emerge come elemento strategico significativo. L’Iran lo utilizza come strumento per intensificare la pressione su Israele, trasformando l’assedio militare in una campagna ideologica su scala globale. Le comunità ebraiche in Occidente si trovano ad affrontare una nuova e intensa ondata di antisemitismo. Il perdurante conflitto mediorientale continua a fungere da catalizzatore per questo odio atavico, commenta Molinari, che si propaga poi nelle società occidentali, confermandosi come la forma una violentissima intolleranza.

Oggi, nuove falsità alimentano l’antisemitismo contemporaneo. La prima è l’equazione tra Hamas e il popolo palestinese, utilizzata per legittimare il pogrom del 7 ottobre come presunta difesa dei diritti palestinesi. Nel 2007, Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza, rovesciando l’Autorità Nazionale Palestinese, che non riconosce e considera corrotta per aver firmato gli accordi di pace di Oslo. La vera rappresentanza del popolo palestinese risiede nell’ANP, guidata da Mahmūd Abbās, successore di Yasser Arafat, che sostiene la soluzione dei “due popoli, due Stati” stabilita ad Oslo con Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Hamas persegue dunque un duplice obiettivo distruttivo: l’eliminazione di Israele e il sovvertimento dell’ANP. Un’altra falsità pericolosa è l’equiparazione tra sionismo e razzismo, che distorce la realtà storica e politica del movimento nazionale ebraico. Questa fu un’invenzione della propaganda sovietica del 1967, emersa dopo la Guerra dei Sei Giorni.

Era parte della strategia di Mosca per sostenere i regimi nazionalisti arabi e consolidare la propria presenza in Medio Oriente. Questa narrativa culminò il 10 novembre 1975 con l’approvazione della risoluzione 3379 dell’Assemblea Generale dell’ONU che equiparava sionismo e razzismo. Tuttavia, il 17 dicembre 1991, la stessa Assemblea revocò questa risoluzione. L’ultimo capitolo affronta l’estremo Oriente, dove Pechino mira a sostituire l’influenza americana con la propria attraverso diverse strategie: Nel Mar Cinese Meridionale, imponendo la propria sovranità su acque territoriali contese con Filippine e Vietnam. Verso Taiwan, perseguendo l’obiettivo della riunificazione con l’isola. Nel Pacifico, stringendo accordi economici con le nazioni insulari per indebolire i legami con Washington. La Cina ha creato o rafforzato istituzioni multilaterali in chiave antioccidentale per tutelare i propri interessi. In questo contesto, anche piattaforme come TikTok vengono viste come strumenti d’influenza cinese.

Amedeo Gasparini

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