Il South Pacific Garbage Patch, la più grande distesa di rifiuti plastici del pianeta
La plastica è oggi il terzo materiale prodotto dall’uomo più diffuso sulla Terra, dopo acciaio e cemento. Negli ultimi sessant’anni abbiamo fabbricato oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica, una quantità inimmaginabile, che ha fatto sì che la massa (in peso) di tutta la plastica presente sul pianeta sia il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme. Questo dato si trova nell’ultimo rapporto del WWF sul “Futuro sostenibile” che è stato diffuso gli scorsi giorni. È stata una grande invenzione, che ha ottenuto uno strabiliante successo. Basti solo pensare alle bottigliette di plastica che scorrazzano sulle nostre spiagge assai più dei gabbiani che non volano via all’avvicinarsi dell’uomo: molto meglio dei cocci di vetro di cui parlava Montale nelle sue poesie antelucane. Tra l’altro, la plastica costa poco ed è sia sottilissima, come robusta e forte, conforme alle necessità di trasporto di tutte le famiglie. Vissero infelici perché costava meno, avrebbe scritto Leo Longanesi. Secondo lo studio, si stima che ognuno di noi ingerisca circa 5 grammi di plastica a settimana, mescolati alla catena alimentare. In un mese fanno 20 grammi e 260 grammi l’anno. Dev’essere legato al problema del sovrappeso. Fanno infatti 5 chili in 20 anni, se non è riciclabile. Oppure, tra un po’ andremo in giro tutti patinati come i giornali illustrati di una volta, praticamente iridescenti al tramonto o in contro luce. Cibo, cosmetici, vestiti, giocattoli, contenitori, tutti hanno componenti plastici. Nel mondo si calcola che ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica e utilizzate più di un milione di buste dello stesso materiale. Non è da demonizzare, ci mancherebbe. La plastica ha reso possibili alcuni dei progressi più significativi della civiltà moderna in campi diversi come la medicina, l’elettronica, i trasporti. La plastica è anche la pietra filosofale. Ogni giorno possiamo ingerire senza saperlo oltre 100 mila microplastiche da cibo, aria e acqua. La stragrande maggioranza delle plastiche proviene dal petrolio, estratto e raffinato. Una volta utilizzate, se incenerite, causano ulteriori emissioni. Sono state individuate sette grandi isole galleggianti di plastica in viaggio negli oceani. Il più grande deposito è il South Pacific Garbage Patch. Ha dimensioni sconcertanti: è stimato da un minimo di 700.000 km² fino a più di 10 miliardi di km². Una penisola iberica di plastica in mezzo all’Oceano Pacifico. Insomma, è fondamentale agire anche sul tema plastica per rispettare gli obiettivi del Green Deal e rimanere entro uno scenario mondiale di un aumento massimo della temperatura globale di 1,5 gradi C. Se ne discute tra qualche giorno a Nairobi, dal 13 al 19 novembre, per sviluppare un trattato che includa norme globali vincolanti a limitare l’inquinamento da plastica. Speriamo solo che le istruzioni per l’uso – come avviene per gli aggeggi tecnologici – non siano scritte in italiano, tedesco, francese, inglese, russo e spagnolo, in modo tale che uno possa non capirci nulla in sei lingue diverse.
Corrado Bianchi Porro
La plastica non è poi così fantastica
Il South Pacific Garbage Patch, la più grande distesa di rifiuti plastici del pianeta
La plastica è oggi il terzo materiale prodotto dall’uomo più diffuso sulla Terra, dopo acciaio e cemento. Negli ultimi sessant’anni abbiamo fabbricato oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica, una quantità inimmaginabile, che ha fatto sì che la massa (in peso) di tutta la plastica presente sul pianeta sia il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme. Questo dato si trova nell’ultimo rapporto del WWF sul “Futuro sostenibile” che è stato diffuso gli scorsi giorni. È stata una grande invenzione, che ha ottenuto uno strabiliante successo. Basti solo pensare alle bottigliette di plastica che scorrazzano sulle nostre spiagge assai più dei gabbiani che non volano via all’avvicinarsi dell’uomo: molto meglio dei cocci di vetro di cui parlava Montale nelle sue poesie antelucane. Tra l’altro, la plastica costa poco ed è sia sottilissima, come robusta e forte, conforme alle necessità di trasporto di tutte le famiglie. Vissero infelici perché costava meno, avrebbe scritto Leo Longanesi. Secondo lo studio, si stima che ognuno di noi ingerisca circa 5 grammi di plastica a settimana, mescolati alla catena alimentare. In un mese fanno 20 grammi e 260 grammi l’anno. Dev’essere legato al problema del sovrappeso. Fanno infatti 5 chili in 20 anni, se non è riciclabile. Oppure, tra un po’ andremo in giro tutti patinati come i giornali illustrati di una volta, praticamente iridescenti al tramonto o in contro luce. Cibo, cosmetici, vestiti, giocattoli, contenitori, tutti hanno componenti plastici. Nel mondo si calcola che ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica e utilizzate più di un milione di buste dello stesso materiale. Non è da demonizzare, ci mancherebbe. La plastica ha reso possibili alcuni dei progressi più significativi della civiltà moderna in campi diversi come la medicina, l’elettronica, i trasporti. La plastica è anche la pietra filosofale. Ogni giorno possiamo ingerire senza saperlo oltre 100 mila microplastiche da cibo, aria e acqua. La stragrande maggioranza delle plastiche proviene dal petrolio, estratto e raffinato. Una volta utilizzate, se incenerite, causano ulteriori emissioni. Sono state individuate sette grandi isole galleggianti di plastica in viaggio negli oceani. Il più grande deposito è il South Pacific Garbage Patch. Ha dimensioni sconcertanti: è stimato da un minimo di 700.000 km² fino a più di 10 miliardi di km². Una penisola iberica di plastica in mezzo all’Oceano Pacifico. Insomma, è fondamentale agire anche sul tema plastica per rispettare gli obiettivi del Green Deal e rimanere entro uno scenario mondiale di un aumento massimo della temperatura globale di 1,5 gradi C. Se ne discute tra qualche giorno a Nairobi, dal 13 al 19 novembre, per sviluppare un trattato che includa norme globali vincolanti a limitare l’inquinamento da plastica. Speriamo solo che le istruzioni per l’uso – come avviene per gli aggeggi tecnologici – non siano scritte in italiano, tedesco, francese, inglese, russo e spagnolo, in modo tale che uno possa non capirci nulla in sei lingue diverse.
Corrado Bianchi Porro