Con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze hanno iniziato a comprendere ciò che è sempre stata una verità ben nota ed evidente per attori e drammaturghi. (Peter Brook)
Luglio 1991: un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Parma, conducendo degli esperimenti su dei macachi, scoprono l’esistenza dei neuroni specchio, cellule motorie del cervello che si attivano sia durante l’esecuzione di movimenti finalizzati, sia osservando simili movimenti eseguiti da altri individui. Nel caso specifico, l’équipe guidata dal neurofisiologo Giacomo Rizzolatti, ha verificato che i neuroni specchio del primate si attivavano quando lo stesso afferrava un oggetto o quando vedeva un ricercatore compiere la medesima azione. Si è poi scoperto che i neuroni specchio della scimmia venivano stimolati solamente di fronte ad un’azione con un obiettivo ed un’intenzione reale. Risulta già qui evidente la stretta relazione tra questa scoperta e l’empatia – non a caso il neuroscienziato Vilayanur S. Ramachandran ebbe a dire che «i neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia» – e, di conseguenza, le implicazioni psico-scientifiche per il mondo teatrale. Tra attore e spettatore può venire a crearsi una “connessione” solo se l’azione portata in scena è giudicata credibile: in altre parole, il pubblico si emoziona, e quindi lo spettacolo ha successo, quando l’interprete riesce a immedesimarsi appieno nel suo personaggio, e lo spettatore con lui.
In occasione di Macbettu, uno spettacolo di Alessandro Serra in lingua sarda ispirato alla tragedia shakesperiana, il pubblico era a tal punto coinvolto che quando un attore finge di scagliare un sasso sul capo di un collega, il pubblico resta con il fiato sospeso. È questo solo uno degli svariati esempi che il regista Luca Spadaro, ospite del primo appuntamento della nuova stagione di Agorateca Incontri ha discusso con il giornalista Giorgio Thoeni, al fine di spiegare il meccanismo di attivazione dei neuroni specchio. L’incontro, svoltosi ieri allo Studio Foce, è stato anche l’occasione per presentare i metodi innovativi di training per attori proposti dal regista e pedagogo ticinese, descritti nel suo nuovo manuale: L’attore specchio. Training attoriale e neuroscienze in 58 esercizi (Audino Editore, 2019).
È da molto tempo che la storia del teatro e della scienza si incrociano, chiarisce sin da subito Luca Spadaro, ricordando in particolare due grandi registi, Stanislawskji ed Eugenio Barba. Quest’ultimo, in particolare, intuì che «la scienza è in grado di dare un nome alle scoperte dell’arte». Non si tratta di una mera questione nominale, ma metodologica. «Se musica, scrittura e danza hanno un’aritmetica riconoscibile», spiega Spadaro, «il teatro è spesso il regno del vago». Il musicista può sapere se è a tempo, il cantante se è intonato, lo scrittore se rispetta determinate norme, il danzatore se esegue i passi nei tempi prestabiliti. Non così l’attore: come sapere se ha fatto una buona interpretazione? La risposta del pubblico, qualcuno potrebbe suggerire, ma allora la questione si complica. Il grande attore inglese Laurence Olivier, durante l’ennesima replica dell’Otello, fece uno spettacolo straordinario, perfetto. Lungi dall’esserne soddisfatto, quando l’attrice che interpretava Desdemona si complimentò con lui, l’attore rispose attonito e incredulo «Non lo so». Come replicare un’interpretazione brillante? Per molti anni Olivier ebbe paura del palcoscenico. Per lo stesso timore, una delle allieve di Spadaro (da anni collabora con l’Accademia di teatro Dimitri di Verscio), ci confida lui stesso, non voleva che le si dicesse se realizzava delle scene riuscite, altrimenti riteneva di non poterle replicare.
Punto di discrimine tra l’azione credibile e l’esibizionismo teatrale è l’intenzione stessa dell’azione. In questo viene in aiuto degli attori la scienza e il manuale di Spadaro, che propone degli esercizi teatrali atti a indirizzarli a un obiettivo ben specifico, e quindi risultare più credibili. Tra gli svariati esempi offerti da Spadaro conviene forse ricordare quello appreso dal suo maestro, Coco Leonardi: a un attore è richiesto di scavare una fossa, fischiettando; poi deve compiere il medesimo atto, ma questa volta per realizzare un orto; poi ancora, deve fingere di vangare la terra per la sua stessa tomba. Le azioni sono identiche, ma cambia l’intenzione e l’obiettivo, così come lo stato fisico dell’attore. «Lo stato fisico è la cosa più delicata e interessante che possa avvenire in scena», commenta Spadaro, e consiste nell’assumere una posa che trasmetta uno stato emotivo; niente di scenico (come, ad esempio, toccarsi compulsivamente i capelli o muovere freneticamente una gamba), è la posa stessa che deve comunicare uno stato d’animo, proprio come avviene nella vita reale. Saper allenare questa abilità è estremamente importante, dato che «lo spettacolo esiste solo nell’istante in cui io recito e tu mi guardi». Il teatro è il regno del ‘qui e ora’; un libro può essere scoperto e compreso secoli dopo, così come l’arte, si pensi ai quadri di van Gogh, ma non uno spettacolo teatrale. Ulteriore dote da allenare dall’attore è quella di credere nel personaggio che interpreta: è come quando giocavamo da bambini fingendo di essere altri, commenta Spadaro. «Non è follia la cumpresenza di due realtà»: bisogna “credere” di essere il personaggio interpretato per trasmettere la stessa sensazione allo spettatore. E per imitare un’emozione? «se vuoi avere paura comincia a correre», ripeteva spesso il regista russo Mejerchol’d: l’intuizione di un grande rivoluzionario del teatro, che si è poi rivelata una realtà dal punto di vista neurobiologico.
Lucrezia Greppi