Due interviste girate dalla RSI (allora TSI) rispettivamente nel 1974 e nel 1988 che mostrano in modo inedito uno scrittore della stessa generazione di Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino: Paolo Volponi (1924-1994). A commentarle, ieri sera in Auditorium USI, il prof. Niccolò Scaffai, invitato da Rete Due per la serie Archivi del Novecento e dall’Istituto di Studi italiani dell’ISI.
«Per Volponi la difficoltà è responsabilizzare il lettore, sfidarlo per il suo bene», fa notare il prof. Scaffai. «La scrittura, per lui, è strumento per capire i motivi che hanno reso il mondo che viviamo quello che è. Se la scrittura cedesse alla facilità, tradirebbe la complessità del mondo, che invece va attraversata». L’allusione è al romanzo di Volponi ”Corporale” (1974), che si può ben definire «difficoltoso e amaro».
«È un libro – sentiamo dire poi dalla viva voce dell’autore nel documento audiovisivo – che prescinde dal divertimento, dalla distrazione, dalla consolazione. Un libro che ho scritto per un’esigenza reale, profonda e per una sfida che dovevo vincere. Sto sulla terra gravato da molti problemi e scrivere mi aiuta a distendere queste paure, che non sono soltanto di ordine psicologico ma anche vissute in termini culturali: nutro la paura che la società di oggi prenda il sopravvento su di noi, escludendo sempre più la partecipazione democratica, l’onesta possibilità per le persone di discutere, valutare, intervenire, giudicare il potere, partecipare alla sua costruzione, scegliere la propria sorte: se questo fosse garantito, per me sarebbe godere più serenamente la vita». Riflessioni che rispecchiano il suo impegno politico: nel 1983 sarebbe diventato senatore nelle file del partito comunista italiano, aderendo in seguito alla Rifondazione comunista.
«Volponi associa la scrittura – prosegue il prof. Scaffai – a qualcosa di difficoltoso. Egli nutre l’esigenza profonda e personale di essere considerato scrittore così come si deve. Volponi, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini scrivono proprio in quegli anni: tre autori diversissimi ma anche molto legati da reciproco rispetto e forme di dialogo e collaborazione. Il confronto con loro è inevitabile. Il suo romanzo, “Corporale” del resto ha lasciato tracce molto forti nella scrittura dell’ultimo e postumo Pasolini e nell’ultima Morante».
«La seconda difficoltà, invece di carattere circostanziale è quella, appunto, di vivere in un’epoca di problemi e preoccupazioni. Scrivere allora diventa un’attività per risolvere problemi e fornire un esame della realtà. Realtà complessa chiede scrittura complessa. È la riflessione di tutti gli scrittori di quel periodo: come è possibile raccontare la realtà se essa sta subendo delle rapide mutazioni e un annientamento delle sue determinazioni particolari, storiche, religiose, sociali? L’unica risposta possibile è questa: rendere altrettanto tumultuosa la scrittura, quasi in un’operazione assassina».
«Volponi, infatti, è intervenuto in maniera aggressiva sul corpo del suo romanzo. Rispetto al dattiloscritto originario, interviene sdoppiando i personaggi, complicando la struttura enunciativa, inserendo delle sequenze saggistiche; fa insomma esplodere il romanzo, anche con un’alta figuralità retorica. Così lo stile dominante è quello onirico, meglio conosciuto come “realismo visionario”. In questo modo supera l’ideologia del passato, che non è più adeguata a descrivere il presente».
«In particolare, fa uso di un archetipo narrativo ben preciso: lo sdoppiamento del protagonista, che a partire dalla seconda parte del romanzo viene sostituito da un suo alter ego, una figura ancipete. Ma per Volponi complicare le cose è stimolo alla comprensione, perché solo così si corrisponde la società, che è continuamente esposta a operazioni di estraniazione».
Che lezione ci lascia, dunque? «Ci mostra la possibilità di osservare le cose da un altrove, sapendo che c’è sempre una sponda diversa da cui si può guardare».
Laura Quadri