Klaudia Reynicke, la regista svizzera peruviana, con il film Love Me Tender ha creato una supereroina anticonformista. Protagonista il personaggio Seconda, interpretato da Barbara Giordano, che si esprime e si muove fuori dagli schemi e da qualsiasi controllo, vivendo una condizione di marginalizzazione sociale. E cosa c’è di più anticonformista del disagio psichico e sociale, in cui Seconda è sprofondata, se paragonato alla normalità? Prima di parlare del film mi voglio soffermare sulla semantica del titolo, e sulla scelta dei nomi dei personaggi, che si aprono a significati che permettono di risalire ad altri significati, evocando altri collegamenti significativi. E questo perché il nome proprio si colloca nel quadro del linguaggio, della comunicazione e della società in cui si forma. Love Me Tender è un titolo riconducibile a un altro titolo famoso della canzone di Elvis Presley, il cui testo è l’emblema dell’amore e della tenerezza, che ricorda un periodo preciso della storia: infatti alcuni indizi e oggetti nel film permettono di risalire agli anni Cinquanta. Seconda si chiama così perché è la secondogenita di una famiglia che ha perso la primogenita Juliette, portando con la sua morte, all’interno delle dinamiche familiari, il peso della sua perdita avvenuta all’età di cinque anni, schiacciata da un’auto. La disgrazia si ripercuote psichicamente molto pesantemente nella vita dei genitori di Seconda, che ne subisce le conseguenze perché si sente il rimpiazzo e il surrogato della sorella maggiore, che diventa una sorta di fantasma che la perseguita, scatenando rabbia e senso di colpa. Essendo un’antropologa la Reynicke sa che il nome contiene la storia di vita della persona, trasporta la sua biografia vivente, sintetizzandola in un’identità nominale, diventando una memoria familiare, personale e sociale. Conseguentemente “il nome diviene uno dei primi elementi di riconoscimento del Sé all’interno del mondo familiare e sociale”. Il nome della protagonista è associato, (insieme a quello di Santo, interpretato da Antonio Bannò) a una descrizione precisa, che rimanda a un significato spesso usato per definire una situazione in ambiti competitivi, laddove arrivare secondi è un premio di consolazione, un fallimento e una sconfitta. In questo caso Seconda è l’espressione vivente, ma soprattutto corporea, di una sofferenza esistenziale con cui si autodistrugge. L’attrice Barbara Giordano esprime la condizione psichica di Seconda attraverso una corporeità irrigidita dalla chiusura affettiva, dovuta al ricordo della sorella morta, e all’incomunicabilità con i genitori. La scena iniziale si apre con uno scontro, su un grande prato, tra una giovane donna e una bambina, creando l’immagine dentro la quale si annida il vissuto di ognuno di noi, quello che porta alla ricerca ma soprattutto alla pacificazione con la nostra bambina interiore. La nevrosi di Seconda, la sua autosegregazione, l’incapacità di comunicare dentro una dinamica genitoriale inesistente, vengono messi in scena puntando sulla scenografia, con la scena, ad esempio, che riproduce la realtà manicomiale o con il suo vestito blu che simboleggia l’anormalità. L’assenza emotiva, il caos, il disordine si riflettono infatti negli spazi interni, dove regna l’indefinito, la sregolatezza esistenziale e l’abbandono. In alcune scene l’assenza di rumore e la mancanza della musica (le musiche originali sono di Zeno Gabaglio e della regista) rimandano al non tempo del mondo onirico, con a tratti l’impressione di vivere dentro un incubo, dal quale Seconda riesce ad uscire, con un atto liberatorio, trovando la sua luce, e ricongiungendosi, nella scena finale e nell’abbraccio sul grande prato iniziale, con la sua bambina interiore.
Proiezioni del film domani, sabato 10 agosto, alle ore 16.15, L’altra Sala e domenica, ore 23, Palacinema.
Nicoletta Barazzoni