Con il nuovo semestre riprende all’Università della Svizzera italiana il ciclo di conferenze aperte al pubblico tenute dal politologo e orientalista Gilles Kepel, professore all’USI e all’École Normale Supérieure di Parigi, sulle configurazioni geopolitiche della regione del Medio Oriente Mediterraneo. Il filo conduttore di questi incontri è proprio l’attualità, come dimostra il tema scelto per il primo appuntamento del 20 febbraio 2020 alle ore 18:30 all’USI (in lingua italiana), che vedrà dialogare il Prof. Gilles Kepel con il Rettore dell’Université Saint-Joseph di Beirut, Salim Daccache, e il Prof. Michele Bernardini dell’Università di Napoli l’Orientale sull’attuale situazione in Iran e in Libano.
Reduce dal tour di presentazione tra Svizzera, Italia e Germania della traduzione italiana del libro Uscire dal Caos. Le crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente – tradotto dalla Dr. Federica Frediani, capo progetto del MEM Summer Summit organizzato dall’USI – il Prof. Kepel torna a far tappa a Lugano, prima di proseguire il suo viaggio verso gli Stati Uniti, per condividere riflessioni fondamentali riguardanti l’odierna situazione geopolitica in Medio Oriente. L’attualità mette al centro la tensione tra Iran e Stati Uniti, sotto i riflettori dopo l’uccisione del Generale iraniano Soleimani. La politica interna ed estera del Presidente americano si fonda sulla volontà di dimostrare la capacità dello Stato americano di punire i propri nemici, e in questo caso viene rivendicata, secondo il prof. Kepel, un’offesa passata: «la reazione è da ricondurre al torto subito dalla presa in ostaggio, per più di un anno, di 52 diplomatici dell’Ambasciata americana in Iran nel 1979. Un trauma molto forte per la coscienza popolare americana, forse da considerare ancora più marcato dell’attacco dell’11 settembre. In quell’occasione l’Iran ha ignorato le regole internazionali e Trump ha colto l’occasione per fare lo stesso, reagendo con un’azione di estrema forza quando le milizie irachene, con l’appoggio iraniano, hanno attaccato l’Ambasciata americana a Baghdad». La reazione americana – che Kepel definisce “jacksoniana” proprio perché riprende la politica del settimo Presidente degli Stati Uniti che non voleva essere presente in modo permanente nei paesi esteri, ma essere in grado di dimostrare la grande potenza americana in ogni luogo e in ogni occasione – è stata inaspettata per gli iraniani che vedevano il Generale, numero due del Regime, come intoccabile. La sua morte ha indebolito la capacità militare e strategica del Paese, rendendo impossibile una reazione all’attacco. Non è da dimenticare inoltre il ruolo giocato dall’alleato principale dell’Iran: «un’offensiva che potrebbe mettere in pericolo l’elezione di Trump andrebbe infatti contro la volontà della Russia. Putin ha già aiutato a far eleggere Trump nel 2016 e pensa che l’attuale Presidente sia nuovamente la migliore scelta per perpetuare gli interessi di Mosca. Per queste ragioni, vista la situazione attuale, non credo si assisterà a un’escalation significativa della tensione» continua Kepel.
Recentemente si è parlato molto di un’altra iniziativa iscritta nella politica interna degli Stati Uniti, ovvero la soluzione di pace proposta da Trump e Netanyahu al conflitto arabo-israeliano, proponendo un sistema a due Stati, con Gerusalemme capitale unica di Israele. «Trump, con questa proposta di pace che concede quasi tutto a Netanyahu e nulla ai palestinesi, ricerca l’appoggio degli ebrei americani, in maggioranza di corrente democratica» spiega Kepel. La questione palestinese, prima considerata il problema principale del Medio Oriente, ha perso la sua centralità viste le fratture che attraversano il Medio Oriente e le sponde sud est del Mediterraneo: «la questione palestinese è ora in secondo piano dopo le guerre civili che hanno seguito le cosiddette primavere arabe e soprattutto l’antagonismo tra sciiti e sunniti: tra la Mezzaluna sciita (cioè Iran, Iraq, Sira, Libano) e il blocco saudita (cioè l’Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi e la regione cirenaica della Libia sotto il controllo del Comandante Haftar). A questo possiamo aggiungere anche la frattura tra il blocco sunnita visibile con chiarezza in Libia, dove l’Emirato del Qatar e la Turchia di Erdogan che sostengono i Fratelli musulmani appoggiano il governo di Fayez al-Sarraj a Tripoli. Questa situazione ha aperto un varco per Trump nel voler favorire e appoggiare in modo assoluto Netanyahu senza ottenere una reazione araba unificata» afferma Kepel.
Anche il Libano affronta una profonda crisi e le rivolte della popolazione continuano. Lo squilibrio si può ricondurre alla situazione in Iran dopo l’embargo della primavera 2018 imposto dagli Stati Uniti sugli altri Paesi che intrattenevano rapporti commerciali con il Paese. «La capacità iraniana di ridistribuire soldi al partito di Hezbollah in Libano ha prosciugato le finanze e ridotto la capacità ridistributiva dello stesso Hezbollah, dando adito a rivolte non solo di stampo cristiano e sunnita ma anche sciita». La possibilità che questi movimenti si trasformino in un cambiamento politico e profondo in Libano è messa in discussione, «la situazione economica nel paese del centro è molto preoccupante. Le banche non danno più la possibilità di ritirare contanti ogni mese, e i giovani libanesi che ne hanno la possibilità fuggono dal Paese» conclude Kepel.
È disponibile qui la rassegna stampa completa delle interviste e interventi del Prof. Kepel sulla stampa nazionale e internazionale.