Sul tema del tempo, senza parole, con marionette, maschere e altri oggetti, una frotta di bambini spettatori, la svizzera Cie. Héros Fourbus ha aperto ieri alle 14, nell’aria un po’ troppo soffocante del Teatro di San Biagio, il Festival bellinzonese Territori. Un bell’inizio, denso e poetico, da cogliere a più livelli. In scena Danièle Chevrolet, José-Manuel Ruiz (anche autori) e Fanny Hugo (che si cimenta come rumorista e musicista). Tiempos…, tempo dunque. Il tempo delle stagioni che percorre la cinquantina di minuti dello spettacolo, un pugno di semi, un trattore che va su una striscia di terra, poi coperta dal verde, poi sparsa di foglie secche, infine di neve… E le età dell’uomo, rappresentate da marionette di varie dimensioni, snodate, in legno, mosse a vista, una coppia (in cui con maschere si calano gli stessi attori), due bambini, due adolescenti, una panchina ad indicare la sospensione, l’attesa, l’incontro e anche lo scorrere dei giorni (lì si mangia, si dorme… si vive), il gioco della palla, innamoramenti, il bacio, piccoli litigi, una borsetta per lei, una cravatta per lui, rossi. E ricordi che seguono non un percorso lineare, ma emozionale. Quel viaggio, le valigie, il treno (potente metafora temporale) e quell’incanto di arrivare un giorno al mare, di toccare con prudenza l’acqua, attimi mimati dagli attori. Mattoncini di case, la metropoli frenetica con le automobiline di vario tipo, il bus, gli incidenti inscenati con perfidia, l’ambulanza… Anche un elefante, quello del circo. Natura e città si mescolano, come nel cielo popolato da uccelli, insetti fastidiosi, ma anche da un aeroplanino o dall’elicottero… Come nelle fantasie infantili a costruire la dimensione della propria immaginazione. Lo sguardo di un bimbo dietro a una finestra rigata di pioggia… Mentre il tempo va…
Ora su quella panchina è rimasto solo lui, accanto, la borsetta rossa di lei… La morte, il rimpianto, ma non hanno voluto lasciarci con questa nota di malinconia, perché tutto ha un nuovo inizio, le risate infantili e, tra il manto innevato, lo spuntare di un fiore. Il ciclo del tempo che si rinnova.
Come in ogni Festival, si passa da un tema a un altro, da una tecnica ad altre. Camilla Parini si è appropriata di un intero appartamento, nel Palazzo Casagrande accanto alla libreria, per proporre l’atto conclusivo del suo progetto Io sono un’altra. Più di cento, le donne di ogni età, che negli anni hanno aderito con entusiasmo invitando l’attrice a casa loro. E lei che si è messa a disposizione, un corpo-tavolozza, una sorta di bambola proiettiva che le partecipanti hanno potuto truccare, vestire, atteggiare come hanno voluto, a rappresentare sogni, fantasie, il come vorrebbero essere o come gli altri vorrebbero che fossero, in cerca di una identificazione di autenticità oppure al contrario fantastica, letteraria, avventurosa, quotidiana o magica… Mille possibilità, il pensiero filosofico pirandelliano che prende forma in qualcosa che non è solo un gioco, ma una prospettiva di riflessione su di sé, di presa di coscienza, di possibilità tra il qui e l’oltre. Si sale una scala e si passa attraverso differenti stanze, quelle che compongono normalmente gli ambienti di una casa, il corridoio, la camera da letto, un tinello, la cucina, il bagno… Mobili datati, per rispettare l’atmosfera del caseggiato, fotografie, specchi, cornici vuote, documenti visivi e sonori… i visitatori sono liberi di esplorare, di prendersi il tempo che vogliono per scegliere la musica, le foto, ascoltare testimonianze delle protagoniste attraverso cuffie, telefoni, documentari televisivi. Una donna su una poltrona sta allattando al seno un neonato: ma fa parte dell’installazione? Dicono di no, ma potrebbe…
Piccoli oggetti con qualche sberleffo anche pop-kitsch. E sempre lei, i cento volti e corpi e abiti e trucchi e pettinature di Camilla, messa in posa, in esterno, in interno, allegra, sofisticata, selvaggia, casual, con i pacchi della spesa o vestita come una eroina russa, nuda, nella vasca da bagno, l’artificio si alterna alla naturalezza. Le donne qui possono veramente essere tutto quello che vogliono, perfino se stesse.
Adesso la Parini spera di poter esportare all’estero, in altre culture (magari anche nei paesi arabi), questo progetto che alla fine risulta una indagine antropologica, sociologica, psicologica, sull’universo femminile, dagli esiti imprevedibili.
(Per tutto il festival, dalle 16 alle 19 oggi e domani; venerdì dalle 17 alle 23; sabato: 10-13/16-19).
Un festival, con tutte le sue intense proposte, dà anche la possibilità di scegliere. Ieri sera, dopo uno scroscio di pioggia che ha fatto temere l’annullamento, la Corte del Municipio, dove si trova anche il Centro Festival, ha ospitato La crepanza della compagnia italiana Maniaci d’Amore, che prende la dicitura dai cognomi dei due autori e interpreti, Francesco e Luciana. Una coppia di ragazzi finiti in un deserto post-umanità, dove a dominare è la divinità di un’aragosta di plastica, qualche battuta, risata, ovvietà, la banalità del cattivo gusto, la voluta insensatezza… il livello da saggio scolastico ci fa pensare che forse era meglio la pioggia…
Il programma completo è disponibile su www.territori.ch
Ma volendo dare un consiglio: da non mancare, questa sera, Lucilla Giagnoni – non certo una sconosciuta nel Ticino – in Marilyn (Corte del Municipio, ore 21.30).
Manuela Camponovo