Un utile vademecum della filosofa luganese per la riscoperta dell’interiorità. Nel libro “Per una vita autentica” una bella rete di percorsi alla ricerca dell’essenziale del vivere, “verso forme più autentiche e armoniose del nostro stare al mondo”, in definitiva “per restare abbracciati alla nostra umanità”.
Ci possono essere, eccome, anche “voci dai silenzi dell’anima”. E non è paradossale. Magari sono difficili da cogliere in un mondo attraversato soprattutto da rumori, tanto che siamo più abituati a questi, volenti o nolenti; ma è più importante captare quei richiami. Se ne trovano in abbondanza nei fertili solchi (= pagine) coltivati nel nuovo libro della filosofa luganese Lina Bertola. Già il titolo Per una vita autentica (Armando Dadò Editore) è una bella ascesa sulla parete dove, passo dopo passo ci si trova ad “esplorare quel di più che ciascuno custodisce nel proprio segreto”. La scalata porta alla vetta o comunque a un avvicinamento assicurato a quel traguardo che si pone come meta. La mappa dà come indicazioni per raggiungerla: “Coltivare l’intimità con noi stessi e con il mondo”. Traducendo nel linguaggio della modernità, il messaggio suona così: “Sollecitati ad un continuo esibirsi sulla scena del mondo, non sappiamo riconoscere il grande valore del suo contrario, ovvero di quell’esporsi al richiamo della propria casa interiore, del desiderio di raccogliersi, in ascolto di ciò che bussa alla porta del cuore”.
Il libro di Lina Bertola è un invito, di più, uno stimolo a non cedere alla rassegnazione, ma piuttosto a riorientare la rotta, colmando magari il vuoto di dentro che ci interpella e ne sono sintesi i frequenti appelli provenienti da molte parti a farsi coraggio, a rilanciare la speranza. “Nonostante l’indebolimento o addirittura l’abbandono di tanti ideali, nonostante il caos di un mondo pieno di emergenze e di sofferenze – ci conforta e incoraggia l’autrice – la visione di un tempo progressivo alimenta ancora il nostro sentimento del vivere”.
Una particolarità che conferisce plusvalore agli itinerari scritti da Lina Bertola sta nella capacità di collegare, trasmettere, innestare nella quotidianità del XXI secolo un sapere che va dall’antichità di Eraclito, Socrate e Platone ai contemporanei come Miguel Benasayag e Umberto Galimberti, ponendosi lei stessa con loro: ne vien fuori un tragitto che si interseca fruttuosamente tra grandi maestri del pensiero fino a illuminare uno sconfinato scenario qual è il “futuro della trascendenza”. Destinatario in senso lato è l’uomo che da una parte si scopre infragilito e dall’altra punta titanicamente alla conquista di Marte dopo la luna, al punto da far scrivere a Lina con efficace immagine che “forse le vere radici degli alberi sono nell’orizzonte di cielo verso cui tendono, e quelle della vita nel bisogno e nel desiderio di trascendenza”. Per il suo viaggio, la filosofa ha voluto farsi accompagnare da tre amici speciali che sono un poeta, Leopoldo Lonati; una artista, Carolina Nazar e un prete, don Luigi Pessina, che è il terminal ideale – nella casa della preghiera – all’esplorazione dell’anima, dello spirito, dell’infinito per “ritrovare una pace piena di affetto e desiderio”.
Sintesi finale d’obbligo affidata a Lina Bertola: “In questo mondo così rumoroso, in atmosfere soffocate da voci scomposte, urlate, invadenti, spesso indifferenti ad ogni possibile risposta, è infatti difficile percepire questa domanda del cuore. Il rumore di fondo, con la solitudine in cui ci avvolge, rischia di trattenerci lontani da quel silenzio generativo dell’anima che può sorprenderci con parole di verità”.
Viviamo alla superficie di un “tempo reale”
Desiderio e futuro della trascendenza. Viviamo un tempo opaco, in cui il futuro si riduce alla fragile speranza di poter continuare, nonostante tutto, a vivere tenendoci stretto ciò che ci offre il presente…
Sono le profetiche parole del filosofo Alexis de Tocqueville. Oggi il nostro sentimento del tempo è spesso lontano dall’idea di un futuro-promessa. Al contrario, il futuro è percepito spesso come incerto e minaccioso. Il tempo della trascendenza, della speranza in un altrove migliore, lascia allora il posto al tempo della sopravvivenza, in cui, secondo il filosofo, la sola speranza è quella di poter continuare a godere di piccoli piaceri con cui riempire il nostro animo. Viviamo sulla superficie di un “tempo reale”. Il senso del vivere rimane spesso schiacciato sul nostro piccolo presente soffocando ogni desiderio di trascendenza.
Anime stanche. Scrivi: “Vite esibite nelle vetrine del mondo. Non riusciamo a esporci al contatto con noi stessi; l’esperienza contemplativa è sempre più marginale. A chi affidare il traghettamento verso un recupero di saldezza e di responsabilità? Siamo ormai incapaci di sostare, fermarci ad attendere che la vita si raccolga in sé stessa”. Efficace e illuminante l’immagine del turista che ha sostituito il pellegrino.
Chiamo qui a raccolta tutti i filosofi che hanno nutrito il mio pensiero, fiduciosa che mi dicano, in un coro che immagino pieno di bellezza e di armonia: buon viaggio! I filosofi sono un nutrimento del vivere, come lo sono la musica, la poesia, i sentimenti, i legami; possono essere una luce preziosa che illumina il cammino, ma alla fine sei tu che devi metterti in viaggio e lasciarti accompagnare. Questo vuol essere il messaggio del mio libro.
Necessità di prestare ascolto a noi stessi
Voci dai silenzi dell’anima. “Che ne è della nostra umanità nell’intrecciarsi dei nostri vissuti con algoritmi e codici, spesso prigionieri di una razionalità che misura la vita? Che ne è del nostro sentimento di interiorità quando siamo chiamati ad esibire il nostro esserci sulla scena di un mondo-spettacolo, a entrare in relazione con l’altro in una realtà virtuale disincarnata e in un presente assoluto che spegne il desiderio di trascendenza?”.
Ho attraversato queste domande che interpellano la nostra umanità infragilita in compagnia della straordinaria esperienza di Simone Weil. La sua vita e il suo pensiero sono una grandiosa testimonianza di un tormentato cammino etico di trascendenza verso quella sacralità dell’umano presente in ogni essere, custodita in fondo al cuore di ognuno. Il suo è un invito a non allontanarci dagli strati più profondi della nostra umanità, a sostare nell’intimità, in dialogo con la propria anima; un invito ad ascoltare il grido del cuore che è sempre in attesa del bene.
In genere c’è poca propensione all’ascolto e ancor meno a messaggi della sfera spirituale, che è il tuo campo d’osservazione. Di recente Massimo Cacciari si lamentava di questa chiusura. “In passato – ha scritto il filosofo – vi era una disponibilità all’ascolto in vastissimi strati della società e della politica. Malgrado non si siano mai davvero incarnate, se non in figure straordinarie come Francesco d’Assisi, almeno chiamavano. Potevo non sentire la forza di seguirle, ma chiamavano. Non chiamano più questa società…». Qual è la tua impressione?
La prima forma di incapacità di ascolto è verso noi stessi, verso i battiti della vita, custoditi nel cuore e nell’anima. Raccoglimento, silenzio, lentezza, sono dimensioni del vivere che oggi facciamo fatica a riconoscerne la presenza nelle nostre giornate.
Nel libro parlo di vite esibite sulla scena di un mondo-spettacolo che ci invita tutti, spesso in modo insistente, ad esserci, a salire sulla giostra di un palcoscenico virtuale, sempre presenti, efficienti e performanti. Difficile allora coltivare il sentimento di interiorità per mettersi in ascolto di sé stessi; difficile coltivare l’intimità con noi stessi e con il mondo…
“Sguardo alla bellezza di ciò che ci circonda”
Non abbiamo tempo, è un ritornello che sentiamo spesso e da molti. Dunque?
Nel libro ho voluto dedicare particolare attenzione allo sguardo poetico che ci rende reciprocamente ospitali, attenti all’Altro, proprio perché attenti alla bellezza di ciò che ci circonda e che condividiamo. Lo sguardo poetico ci tiene lontani dal bisogno di addomesticare la realtà per tenere tutto sotto controllo. Il problema vero, forse, è che non sappiamo più stare nel tempo, sostare nei suoi passaggi. Il cosiddetto tempo reale che scandisce le nostre giornate, in realtà inghiotte il divenire lento del tempo, e così ci tiene lontani dal tempo interiore. Sempre più sopraffatti dalle richieste del mondo, restiamo molto spesso centrati su noi stessi e impariamo ad abitare la vita in modo individualistico e autoreferenziale. A questo punto, e i social sono lì a mostrarlo sempre compiacenti, tutti parlano, o meglio, tutti urlano e nessuno ascolta più.
Messaggino finale ai naviganti…
Questo nostro vivere efficiente, sempre di corsa, tutto esibito, non impedisce solo l’esperienza feconda, e contraria, dell’esporsi alle fragilità della vita, nell’ascolto ospitale di quella vulnerabilità che appartiene a tutti e che crea i legami più veri. Dobbiamo ripartire dall’ascolto dell’Altro. Perché tutto inizia con il riconoscere l’Altro che è in me.
Giuseppe Zois
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