Teatro

L’inguaribile malato e la sua fobica esistenza

Il malato immaginario di Andrea Chiodi

La paura della malattia sottende la paura e il terrore della morte altrimenti non si spiega perché si debba vivere perseguitati dal delirante pensiero di ammalarsi, fasciandosi la testa ancor prima di averla rotta, così come succede ad Argante, il protagonista della commedia satirica Il malato immaginario di Molière.

Andata in scena ieri sera al LAC, con la regia di Andrea Chiodi, adattamento e traduzione di Angela Dematté, la pièce teatrale di Molière, che prese di mira i medici e la medicina, riflette ancora oggi, con pungente ironia, le eccessive preoccupazioni, e le tensioni del nostro tempo, che si sono manifestate soprattutto con la pandemia. Questo è il periodo in cui i pazienti dissacrano e perdono la pazienza, prendendo a botte il personale sanitario e i medici. Siamo in un momento dove trionfa l’autodiagnosi, facilitata dalle informazioni reperibili in rete e ora anche con l’Intelligenza artificiale. La convinzione che le conoscenze individuali abbiano più potere delle pratiche mediche ha portato alla perdita di fiducia nella medicina e nei medici, che si vedono relegati a un ruolo secondario, tutti aspetti che lo spettacolo di Andrea Chiodi mette in luce. Paragonare la medicina e i medici che operavano ai tempi di Molière a oggi sarebbe come negare le grandi scoperte scientifiche e i progressi della medicina (ma c’è chi lo nega). Sebbene la medicina salvi vite umane la diffidenza ha preso il sopravvento. Perciò il tema ritorna, la storia si ripete, e il copione si presta a descrivere gli stati d’animo e la società in cui viviamo, dove l’ignoranza è in buona salute. Le scelte artistiche con cui il regista Andrea Chiodi si è immaginato il malato della società odierna, che ridicolizza perché la malattia serpeggia più nella testa che nel corpo, sono scolpite nella bravura degli attori, nella scenografia, nei costumi che non evocano il secolo di Molière ma simboleggiano l’uomo di oggi. Anche il gabinetto o meglio il vaso sanitario, la vasca da bagno, stile Belle Époque, la musica di un pianoforte, gli attori e le attrici con le guépières, calze a reggicalze, richiamano il cabaret o il burlesque, così come la macchina da scrivere con i tipici tasti e la leva per spostare il carrello raffigurano un altro tempo. L’enorme lampadario che evoca un ambiente regale, penzola minaccioso sopra la testa del protagonista, un Tindaro Granata che si spoglia nudo, entrando nella vasca, immergendosi nella sua vulnerabilità e nell’intimità schizzoide delle sue paturnie. Il lampadario suggerisce tensione, instabilità o la paura che qualcosa possa crollare da un momento all’altro. La farsa è incentrata sull’ipocondria di Argante, personaggio che Tindaro Granata padroneggia alla perfezione, restituendoci le nevrosi, le ossessioni, e le fobie che tormentano e imprigionano Argante. Granata con le sue doti attoriali che lo hanno visto candidato al premio Ubu, volteggia sul palcoscenico, vestito con una pesante vestaglia nera, simbolo di morte, con uno strascico di pesantezza esistenziale. Si muove con disinvoltura, cambiando spesso registro con versatilità e mimetismo, con un’allure che non sfugge allo spettatore. La sua abilità nel modulare le emozioni richiede padronanza, rendendo autentiche le emozioni, che strappano risate al pubblico che applaude. I risolini teatrali di Granata tratteggiano il carattere del personaggio ma anche il suoi stati d’ira quando dà sfogo al suo despotismo e quando insulta la serva Tonina, una bravissima Lucia Lavia. Infatti fissato com’è dall’idea di essere affetto da attacchi alla sua salute, Argante perde il controllo della sua vita, vivendo come un morto, e rendendo invivibile qualsiasi emozione.

Il pezzo che Tindaro recita con la parrucca di Molière è la lettera che il commediografo ha scritto al Re. La scelta di rappresentarla sul palcoscenico è estremamente contemporanea e potente perché quel che la commedia sa fare è proprio mostrare i lati più oscuri dell’essere umano. Questo innesto drammaturgico, colto da Andrea Chiodi, racconta, in tutta la sua verità, la ragione di vita e l’essenza della commedia.
Si replica mercoledì 22 sera.

Nicoletta Barazzoni

con Tindaro Granata, Lucia Lavia, Angelo Di Genio, Emanuele Arrigazzi, Alessia Spinelli, Nicola Ciaffoni, Emilia Tiburzi, Ottavia Sanfilippo

scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
musiche Daniele D’Angelo
luci Cesare Agoni
consulenza ai movimenti Marta Ciappina
assistente alla regia Elisa Grilli

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