Una certezza mondiale è che l’Italia è tra quei Paesi al mondo con il più alto patrimonio culturale. Un’altra, è che quest’ultimo non sempre è stato valorizzato a dovere. Una terza certezza, è che l’Italia – colpita come molti dalla pandemia – ha abbandonato il settore culturale lasciando un vuoto che forse nemmeno il passare del tempo riuscirà a riparare e rimediare. Questa terza realtà è resa chiara facendo un veloce confronto tra i fondi stazionati per settori del turismo e della cultura, e il numero degli addetti ai lavori che effettivamente sono stati e saranno tutelati nei mesi avvenire. Non saranno certo quei 600€ presi per tre mesi o quei 1000€ (arrivati a pochi) a poter pagare affitto, mutuo, spese per la casa e per i figli, a cambiare e dare sicurezza a migliaia di famiglie italiane. Ma qui non si vuole parlare di numeri, perché per rendersi conto di quanto i fondi e le necessità reali non combacino basta visitare il sito del MiBACT, poi fare un confronto con i dati dell’ISTAT e quelli dello studio “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza” che si trova sul sito dell’ente pubblico italiano: Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Ed ecco che esaminando bene i contenuti relativi al tema in questione ci rendiamo conto di due cose importanti, ovvero che la cultura è uno dei motori trainanti dell’economia italiana e che il sistema politico italiano, ad oggi, non ha investito molto in essa e nella sua tutela a fronte di questa pandemia mondiale. I numeri parlano chiaro e la matematica non è un’opinione.
Quello che però qui si vuole realmente esaminare è la lenta e triste scomparsa della tradizione della cultura in Italia. Quando Giuseppe Conte si trova a parlare ai cittadini del Belpaese attraverso le, ormai abituali, conferenze stampa dedicate ai vari Dpcm per far fronte all’emergenza Covid-19, un sentimento comune è l’indignazione verso il sacrificio chiesto ai vari ristoratori, ai piccoli artigiani, e ai diversi lavoratori dei vari settori colpiti; eppure quando con il proseguire dei Dpcm improvvisamente non vengono più menzionati dal Presidente del Consiglio italiano i sacrifici chiesti e la situazione critica nella quale si trova il settore culturale, nessuno ne parla, nessuno quasi se ne accorge, se non fosse per alcuni personaggi pubblici che attraverso i social sottolineano che intorno a quel mondo ci sono tantissimi addetti ai lavori che non solo rischiano di perdere il proprio posto di lavoro, ma sono mesi che non hanno uno stipendio. Allora qualcuno si indigna dietro una tastiera, scrivendo quanto sia ingiusto, ma pare nulla di più.
La scomparsa della tradizione della cultura non è sicuramente una conseguenza del Covid-19, ma piuttosto una verità che, ora più che mai, si mostra per quella che è: un’Italia che si è dimenticata del suo patrimonio culturale. C’è chi la definirebbe come una vera e propria “crisi”, e se da un lato sono da incolpare le istituzioni dall’altro il dito è da puntare anche ai cittadini che lo hanno permesso. Una società che da molto tempo traina tutto ciò che è anti-cultura. E se molti leggendo queste parole ne resteranno indignati, una domanda sorge spontanea: quando il premier Conte, durante le recenti conferenze stampa, ha nominato i vari settori a cui chiede sacrifici, e a cui è imposto la chiusura obbligatoria, quanti si sono davvero accorti che tra questi, i musei, i cinema, e i teatri non sono nemmeno stati più menzionati? Quanti si sono accorti che il settore culturale fa sacrifici e nessuno, pare, volersene realmente prendersene cura.
Una presa di coscienza potrebbe essere un passo verso una società diversa, sicuramente più consapevole verso quel patrimonio culturale troppo importante per restare superfluo. La cultura, è prima di tutto un arricchimento personale, ma anche economico se valorizzato correttamente e intelligentemente.
MEA
Una certezza mondiale è che l’Italia è tra quei Paesi al mondo con il più alto patrimonio culturale. Un’altra, è che quest’ultimo non sempre è stato valorizzato a dovere. Una terza certezza, è che l’Italia – colpita come molti dalla pandemia – ha abbandonato il settore culturale lasciando un vuoto che forse nemmeno il passare del tempo riuscirà a riparare e rimediare. Questa terza realtà è resa chiara facendo un veloce confronto tra i fondi stazionati per settori del turismo e della cultura, e il numero degli addetti ai lavori che effettivamente sono stati e saranno tutelati nei mesi avvenire. Non saranno certo quei 600€ presi per tre mesi o quei 1000€ (arrivati a pochi) a poter pagare affitto, mutuo, spese per la casa e per i figli, a cambiare e dare sicurezza a migliaia di famiglie italiane. Ma qui non si vuole parlare di numeri, perché per rendersi conto di quanto i fondi e le necessità reali non combacino basta visitare il sito del MiBACT, poi fare un confronto con i dati dell’ISTAT e quelli dello studio “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza” che si trova sul sito dell’ente pubblico italiano: Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Ed ecco che esaminando bene i contenuti relativi al tema in questione ci rendiamo conto di due cose importanti, ovvero che la cultura è uno dei motori trainanti dell’economia italiana e che il sistema politico italiano, ad oggi, non ha investito molto in essa e nella sua tutela a fronte di questa pandemia mondiale. I numeri parlano chiaro e la matematica non è un’opinione.
Quello che però qui si vuole realmente esaminare è la lenta e triste scomparsa della tradizione della cultura in Italia. Quando Giuseppe Conte si trova a parlare ai cittadini del Belpaese attraverso le, ormai abituali, conferenze stampa dedicate ai vari Dpcm per far fronte all’emergenza Covid-19, un sentimento comune è l’indignazione verso il sacrificio chiesto ai vari ristoratori, ai piccoli artigiani, e ai diversi lavoratori dei vari settori colpiti; eppure quando con il proseguire dei Dpcm improvvisamente non vengono più menzionati dal Presidente del Consiglio italiano i sacrifici chiesti e la situazione critica nella quale si trova il settore culturale, nessuno ne parla, nessuno quasi se ne accorge, se non fosse per alcuni personaggi pubblici che attraverso i social sottolineano che intorno a quel mondo ci sono tantissimi addetti ai lavori che non solo rischiano di perdere il proprio posto di lavoro, ma sono mesi che non hanno uno stipendio. Allora qualcuno si indigna dietro una tastiera, scrivendo quanto sia ingiusto, ma pare nulla di più.
La scomparsa della tradizione della cultura non è sicuramente una conseguenza del Covid-19, ma piuttosto una verità che, ora più che mai, si mostra per quella che è: un’Italia che si è dimenticata del suo patrimonio culturale. C’è chi la definirebbe come una vera e propria “crisi”, e se da un lato sono da incolpare le istituzioni dall’altro il dito è da puntare anche ai cittadini che lo hanno permesso. Una società che da molto tempo traina tutto ciò che è anti-cultura. E se molti leggendo queste parole ne resteranno indignati, una domanda sorge spontanea: quando il premier Conte, durante le recenti conferenze stampa, ha nominato i vari settori a cui chiede sacrifici, e a cui è imposto la chiusura obbligatoria, quanti si sono davvero accorti che tra questi, i musei, i cinema, e i teatri non sono nemmeno stati più menzionati? Quanti si sono accorti che il settore culturale fa sacrifici e nessuno, pare, volersene realmente prendersene cura.
Una presa di coscienza potrebbe essere un passo verso una società diversa, sicuramente più consapevole verso quel patrimonio culturale troppo importante per restare superfluo. La cultura, è prima di tutto un arricchimento personale, ma anche economico se valorizzato correttamente e intelligentemente.
MEA