L’Ordine del giorno Grandi che portò alla caduta del Fascismo
La caduta del Fascismo tra il 24 e il 25 luglio 1943 a seguito del cosiddetto Ordine del giorno Grandi fu il risultato di una serie di eventi che minarono progressivamente il regime di Benito Mussolini. Crisi militari e sconfitte frustrarono notevolmente il paese, minando la sua posizione nell’Asse. La campagna militare italiana in Nord Africa si era conclusa con la disfatta delle forze italiane a El Alamein. La ritirata dall’Unione Sovietica fu drammatica per gli italiani. Il 10 luglio 1943 gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia – dove non incontrarono resistenza – e si apprestavano a completare l’occupazione dell’isola. La crisi economica ed alimentare si faceva via via sempre più insostenibile per la popolazione italiana. Molte risorse erano state prosciugate dalla guerra e l’economia italiana stava progressivamente collassando. L’inflazione crebbe, mentre la produzione e l’approvvigionamento alimentare divennero sempre più critici.
Tutto questo incrementò il malcontento verso il regime. Gli atti di sabotaggio contro il governo divennero più frequenti nell’estate 1943. Profondo disagio lo espresse, in quelle settimane, anche Re Vittorio Emanuele III. Sebbene il sovrano avesse inizialmente guardato di buon occhio il regime fascista, il conseguirsi delle sconfitte militari dell’Italia e la paura di un’invasione degli Alleati portarono il re a dubitare della capacità del governo Mussolini di affrontare i prossimi difficili mesi. Sommati gli elementi interni ed esterni di crisi, il Duce incontrò Adolf Hitler nei pressi di Feltre il 19 luglio. La riunione si concluse con un nulla di fatto. Mussolini voleva sganciare l’Italia dall’Asse, ma Hitler si rivelò intrattabile e intransigente: non voleva lasciare scoperto un fronte attraverso cui gli Alleati avrebbero fatto breccia. Mussolini avanzò l’ipotesi di trattare una pace separata con l’Unione Sovietica, ma Hitler fu inamovibile. L’Italia non doveva cadere.
Lo stesso giorno Mussolini tornò a Roma: quel giorno la capitale era stata bombardata per la prima volta dagli Alleati. Tutto ciò indusse il Gran Consiglio ad agire. L’organo, accreditato come un parlamentino di saggi del partito fascista, serviva in realtà a Mussolini per ratificare le sue decisioni. L’ultima seduta del Gran Consiglio risaliva alla fine del 1939, quando l’Italia si dichiarò non belligerante. Sebbene non esista un verbale ufficiale del dibattito nell’ambito dell’Ordine del giorno Grandi – da Dino Grandi all’epoca presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni – la maggioranza dei membri del Gran Consiglio votò a favore del trasferimento del comando delle forze armate al re. La mozione rappresentava essenzialmente un voto di sfiducia nei confronti del Duce. Il 25 luglio Mussolini si recò a Villa Savoia per un colloquio con Vittorio Emanuele.
Il re, che per oltre vent’anni si era mostrano accondiscendente nei confronti del capo del Fascismo, gli annunciò la sua decisione di revocargli l’incarico di presidente del Consiglio per sostituirlo con il maresciallo Pietro Badoglio. All’uscita della villa Mussolini venne arrestato e scortato in ambulanza presso una caserma ed in seguito sull’isola di Ponza. Le motivazioni del re, che aveva sostenuto l’Ordine del giorno Grandi, erano di aver portato il popolo italiano in guerra, di essersi alleato con la Germania nazista e di essere responsabile della disfatta nell’invasione della Russia. L’8 settembre 1943, l’Italia firmò un armistizio con gli Alleati. La Germania nazista occupò la parte settentrionale dell’Italia. Mussolini, liberato nel frattempo da Campo Imperatore, sul Gran Sasso, volò alla Tana del Lupo a Rastenburg, incontrò Hitler, che lo mise a capo della Repubblica Sociale Italiana con sede a Salò, sul Lago di Garda.