“Lubo”, storia di un’ingiustizia
È un regista sensibile, Giorgio Diritti, l’autore del Vento fa il suo giro, L’Uomo che verrà sull’eccidio di Marzabotto, Volevo Nascondermi con Elio Germano – Antonio Ligabue: a Venezia 80 ha portato in concorso Lubo, liberamente ispirato al romanzo Il seminatore di Mario Cavatore (Einaudi), la storia di un nomade, uno Jenisch nella Svizzera degli anni ’30.
“È un povero cristo nel senso buono del termine, che fa l’artista di strada e che nella vita si trova a subire una cosa più grande di lui, una grande ingiustizia: vedere i propri figli, mentre lui deve fare il militare nell’esercito elvetico che si prepara a difendere i confini dal rischio di un’invasione tedesca, portati via solo perchè è un nomade.
“Il suo modo di vivere diverso – ha detto all’ANSA il regista – diventa una discriminante che poi scatena quello che diventerà una catena del male di cui è parte ma che vorrebbe e potrebbe ribaltare credendo nella possibilità di rifarsi una vita, nell’amore, nella giustizia”. Questa storia accade in Svizzera negli anni ’30, ma va avanti fino agli anni ’70: la Pro Juventute, una fondazione filantropica creata con l’intento di sostenere i diritti e le esigenze dei bambini, varò il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada, di fatto deportando, sradicando i figli dei nomadi affidandoli ad altre famiglie o al collegio, “una violenza unica. Un vizio dell’umanità diffuso”, spiega. Tra i consulenti storici anche Uschi Waser, una ex bambina Jenisch strappata alla sua famiglia, così come Jenisch (la terza maggiore popolazione nomade europea, dopo i Rom ed i Sinti) sono stati sul set i dialogue coach visto che la lingua originale è tramandata oralmente.
Il tema dell’ingiustizia è in Lubo (in sala dal 9 novembre con 01) e in molti altri film di Venezia 80. “C’è la sensazione che la società si impantani sempre sulle stesse cose e che queste stesse cose rischiano di portare di nuovo a conflitti, a guerre ecc. la scommessa triste oggi, e che mi sembra abbastanza persa, è che negli anni ’70 si sperava in un mondo migliore. Oggi, passati tanti anni, c’è la sensazione che semmai c’è rassegnazione, quasi che la negatività, il male, l’indifferenza verso l’altro siano da accettare. Si è parlato di recente dei bambini ucraini strappati alle famiglie e portati in Russia, la storia si ripete. La guerra in Ucraina dopo il periodo di grande empatia e commozione per le immagini strazianti che ci arrivavano, adesso quasi è un’abitudine”. Non capire le “diversità come grande valore” ma semmai perseguitarle sono uno dei grandi mali contemporanei: “questa storia, questo film permettevano di accendere una luce sugli Jenisch. E non solo: questa storia è anche per voler dare un segnale politico, non alle istituzioni, ma alle sensibilità delle persone, avere un atteggiamento vigile contro le ingiustizie. I film sono sogni onirici che toccano le coscienze degli spettatori, è una delle magie del cinema, e spero che questo film sia occasione per ripensare al valore degli altri. Il cinema non è intrattenimento, un buon film per me – prosegue – è qualcosa che ci cambia e resta con noi dentro per tanto tempo. È uno sforzo che sento tanto anche come senso del mio lavoro. Credo in un cinema che sia utile per migliorarci”. I due protagonisti sono Franz Rogowski, l’attore tedesco di Disco Boy e di Freaks Out, nel ruolo di Lubo, e Valentina Bellè (The Good Mothers di Disney+, premiata come serie a Berlino, e protagonista di La vita accanto, il nuovo inedito film di Marco Tullio Giordana) in quello dell’amata Margherita. “Due personaggi – dice Bellè – simili nella ricerca dell’amore semplice e nelle sofferenze della guerra”. Il regista non ha avuto dubbi nel trovare in loro i protagonisti, “capaci di senso di speranza e di fiducia, con la poesia dentro”.
Il film è una coproduzione italo-svizzera, prodotto da Indiana, Aranciafilm e Rai Cinema; la sceneggiatura è stata scritta da Diritti con Fredo Valla e il film è stato girato in suggestive location dell’Alto Adige. (Fonte: ANSA)